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Guida per riconoscere i tuoi santi

Regia di Dito Montiel vedi scheda film

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La recensione su Guida per riconoscere i tuoi santi

di ROTOTOM
8 stelle

Anche gli angeli hanno bisogno di imparare a volare. Bisogna avere il coraggio di staccarsi dal suolo, di abbandonare i lidi sicuri dei territori conosciuti poiché ciò che attira a terra più della gravità è la paura di avere paura. Dito Montiel è un miracolato, una di quelle storie che diventano un film. Appunto. Dito nella realtà ha scritto un libro che dà il titolo al film in cui il protagonista è sempre Dito. Nel film Dito ha scritto un libro su non so cosa e lo dirige egregiamente Dito, alla prima prova preso, ripulito, guidato, istruito e premiato grazie ad un barlume di lucidità tra una scimmia e l’altra di Robert Downey Jr e prodotto dai coniugi Sting nelle pause tra un coito tantrico e l’altro. Dieci minuti circa in cui la moglie pensa che il soggetto è forte, la sceneggiatura è forte e ci vuole uno che paghi. Sting. Dito lo interpreta, benissimo, il pigmalione Robert che chiama in aiuto, visto che è un’opera prima, visto che è sofisticatamente cool e sufficientemente underground come storia, Rosario Dawson, Chazz Palminteri per una volta senza alcuna ambizione mafiosa, anzi senza alcuna ambizione, Dianne West e Eric Roberts nel ruolo qui più impegnativo della sua carriera, visto che dice un paio di battute. Più un manipolo di ragazzini depilati presi di peso da Amici della de Filippi. No, quasi. Da Disney Channel uno e per strada quell’altro. Perché Dito sia un miracolato quindi dovrebbe essere chiaro. E’ un miracolato perché il Dito raccontato nel film riesce ad affrancarsi da una vita che apparentemente per tutti quelli che lo circondano ha un senso solo se rapportata ai quattro muri che delimitano l’isolato, l’assioma che New York sia un posto con tutte le razze del mondo è qui portato all’eccesso comprimendo il concetto al proprio quartiere, alla propria strada, al proprio monolocale, alla propria testa. Quindi non c’è proprio bisogno di andare da nessuna parte, il mondo è tutto lì. Ed è violento. Dito ha le ali ma non sa come usarle, gli amici lo tirano giù, la paura di volare lo tira giù. Il padre gli impasta le ali di pregiudizi, di rancore e di indifferenza preferendogli l’amico Antonio, bullo marchiato a sangue quotidianamente dal padre violento. L’estate è quella del 1986 e la California nella mente di Dito è un miraggio che tremola nel caldo umido del Queens, la gente si pesta, scopa, si annoia e muore. I suoi santi, i genitori non sembrano più tanto inseriti nel loro ruolo se non di numi tutelari di una povera famiglia senza alcuna speranza di muoversi di un millimetro dal proprio destino. Il piano temporale si sposta dal passato al presente in cui Dito adulto si ritrova a fare i conti con il proprio passato e sui fantasmi che i luoghi inevitabilmente rilasciano nel momento in cui i ricordi prendono il sopravvento. I fantasmi degli amici, morti e in galera, delle bande di portoricani, della ragazzina che amava e che aveva lasciato, degli amici che aveva lasciato, del nulla che aveva lasciato. Del padre malato soprattutto, col quale il rapporto irrisolto dovrà per forza risolversi. Dito racconta, e il suo racconto viene stampato su fondo nero sullo schermo in stralci di sceneggiatura. Dito regista schiaccia i suoi personaggi in inquadrature soffocanti, cacofoniche di linguaggi e discorsi che si sovrappongono e si annullano a vicenda. Personaggi meravigliosamente essenziali e asciutti. Dito torna a casa dopo aver imparato a volare e trova che tutto è esattamente come prima, un pezzo di tempo immoto ritagliato nel mondo. Dito riconosce i suoi santi nei genitori e forse loro riconosco lui. Alla fine una bellissima New York Groove interpretata da Ace Frehley dei Kiss aggiunge sorpresa alla sorpresa delle vere immagini del padre. Dito è un miracolato ma per essere tali i miracoli devono essere riconosciuti e con questo film, struggente, commovente, profondamente sincero Dito Montiel ha veramente spiegato le ali e imparato a volare.

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