Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Un gruppo di amici s’incontra frequentemente e sembrano una grande “famiglia allargata”. Sono otto ed all’inizio del film se ne aggiunge un altro, Paolo (Michelangelo Tommaso): la psicologa Angelica (Margherita Buy) sposata con il bancario Antonio (Stefano Accorsi) che la incorna con la fioraia Laura (Isabella Ferrari); lo scrittore di favole e cuoco sopraffino Davide (Pierfrancesco Favino), migliore amico di Angelica, il suo compagno Lorenzo (Luca Argentero), l’ex compagno, che vive con la rendita lasciata dalla madre, Sergio (Ennio Fantastichini); l’instabile e drogata Roberta (Ambra Angiolini); la traduttrice turca Neval (Serra Yilmaz) sposata con un balbuziente poliziotto a lei sottomesso (Filippo Timi).
L’equilibrio di questa atipica famiglia s’incrina quando Lorenzo entra in coma: gli amici si alternano in ospedale, ricordano i bei momenti elaborando la consapevolezza che non si sveglierà più. Arriva anche il padre di Lorenzo, Vittorio (Luigi Diberti), con la seconda moglie Minnie (Lunetta Savino) che vorrebbe portarselo a Torino. E poi c’è un’infermiera ambigua (Milena Vukotic): che relazione può avere col destino del ragazzo? Tutto pare crollare.
Chi ha etichettato Saturno contro come un manifesto pro Dico (ve li ricordate? era il 2007) si è solo limitato ad una superficiale e strampalata analisi. Il film di Ferzan Ozpetek può essere letto, meglio, con almeno tre chiavi: un delicato melodramma che, in quanto tale, mette in scena amore e morte; una variazione sul tema de Le fate ignoranti in una dimensione più borghese e familistica (se non glamour: attori belli, confezioni elegante); un punto d’arrivo e di partenza. C’è tutto Ozpetek nel film e, pur non essendo il suo risultato migliore, è un qualcosa che gli somiglia: generoso se non straripante, corale, ma anche caotico, passionale più che appassionato (Passione di Neffa ne rappresenta bene il mood).
Come tutti i personaggi del film, anche lui dichiara di essere soggetto agli umori di Saturno, pianeta lento e fastidioso, scegliendo la strada dell’irrazionale per ragionare su quel che resta del nostro dolore. Il tema di fondo, infatti, è l’abbandono: Lorenzo, morendo, abbandona la vita e Davide, che si abbandona all’angoscia; Davide ha abbandonato anni prima Sergio; Antonio preferisce la compagnia dell’amante a quella della moglie; la tossica Roberta si abbandona alla vita; Vittorio ha abbandonato anni prima il figlio.
Il fatto che alcuni personaggi siano omosessuali (storicamente accusato d’essere il cliché ozpetekiano par excellence) non deve interessare: il film è squisitamente narrativo, non ha alcuna pretesa sociologica, predilige la strada del melodramma non rinunciando al simbolismo ed esaltando immagini emblematiche (l’aiuola vicino alla quale il gruppo ascolta la disperata telefonata di una ragazza che nessuno conosce, il tormento di Davide sul pendio, il suo abbraccio con Vittorio, il dialogo tra lui e Sergio, le angosce di Roberta all’obitorio, il ping pong, la camminata di Antonio e Laura).
Nel polifonico cast guidato da un’insolita Buy e da un sofferto Favino, tutti recitano a dovere sotto la guida del regista, gran direttore d’attori, ma note al merito alla struggente Angiolini, allo strepitoso Fantastichini (detto “Rebecca la prima moglie”, che regala momenti fantastici, come l’incontro con l’ottima Savino: «Ma anche lei è gay?» chiede imbarazzata e lui risponde «No, io sono frocio… all’antica») e l’eccellente Vukotic. Remedios di Gabriella Ferri ha trovato un rinnovato pubblico.
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