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Lady Vendetta

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su Lady Vendetta

di Stefano L
8 stelle

Lady Vendetta per la prima volta in 4K Ultra HD - Horror Italia 24

 

 

“Sympathy for Lady Vengeance” è il terzo ed ultimo episodio della cosiddetta “trilogia della vendetta” del coreano Park Chan-wook, avviata nel 2002 rilasciando il discutibile "Mr. Vendetta", a cui seguì l’ottimo "Oldboy" nel 2003. La vendicatrice/redentrice è impersonata da Geum-ja Lee (Lee Young Ae, risolutamente pragmatica nel ruolo), ex studentessa incastrata dal suo amante Mr. Baek (il cabalistico Choi Min-sik), oltre che costretta a scontare ingiustamente la prigione per tredici anni, periodo in cui si trasforma in quell’angelo bianco della morte che, progressivamente, prima dietro le sbarre, poi in libertà, commetterà una serie di rivalse trasversali, le quali ovviamente avranno come ultima vittima il sopracitato Baek. Park utilizza soprattutto i campi medi e le soggettive mettendo a fuoco l'espressività di Young Ae grazie a una lauta modalità extra-diegetica, in particolare durante la perniciosa metamorfosi; il profilo di martire muterà attraverso delle immagini astratte in quell’introspezione psicologicamente impassibile e spiritualmente tormentata. Sia ben chiaro però che l’esternazione della violenza non è finalizzata a una raffigurazione intrinseca della perversità dei personaggi, ma è una parabola del sadismo che imperversa nella comunità (e negli spettatori) dinnanzi ad avvenimenti di tale atrocità. L’assassino di turno, un torturatore, in uno dei piccoli pezzi conclusivi si giustificherà affermando che non c’è nulla di perfetto in questo mondo, dando quasi un motivo di accentuare la collera nei confronti dei parenti dei deceduti; essi non nasconderanno il loro atteggiamento atavico e corrotto quando finalmente si confronteranno col killer, menzionando perfino un possibile riscatto monetario previsto dalla legge, svigorendo quindi la veemenza morale del gesto vendicativo, che nel caso di Geum-ja si palesa altresì in maniera autolesionistica (recide una mano espiando parte delle sue colpe). In questo bizzarro quanto essenziale segmento della storia il regista sembra anche canzonare il gusto cinicamente voyeuristico del pubblico, cercando di non castigare la messa in scena tramite raccordi cinematograficamente presumibili, e inquadrando le risvolte pulp sempre fuori campo, preferendo perciò un’ottica incline ad evidenziare il simbolismo di mezzi ed elementi (il sangue, le armi, il trucco) che una manifestazione esplicita dell’efferatezza visiva. Il film, tecnicamente pregevole (la fotografia non eccede mai in soluzioni edulcorate), non nasconde comunque le sue imperfezioni narrative. La sotto-vicenda familiare che riguarda la figlia emigrata in Australia è infatti prolissa e leggermente pretestuosa, nonostante non si possa negare la sua funzionalità nella poetica evoluzione della protagonista, che da succube diventa carnefice fino ad aspirare ad un equilibrio dell’anima che dovrebbe (ri)portarla in una dimensione “pura” ed ordinaria della realtà. "Lady Vengeance" rimane un’analisi sulla natura umana che riconferma Park come uno dei cineasti migliori nel trovare la corretta cifra artistica nella rappresentazione autoriale degli aspetti più conturbanti della società.

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