Regia di Sam Raimi vedi scheda film
Centrato sul senso di colpa, con tanto di sdoppiamento, metaforico e letterale, di Parker nella sua nemesi, Spider-man, al terzo capitolo, ha perso energia e brillantezza. La sceneggiatura stenta ad avanzare, smarrendosi in rivoli irrisolti, e i numerosi personaggi finiscono con l'essere mere comparse, perni di singole scene che rimangono prive di conseguenza narrativa. Registicamente, Raimi rimane incerto tra dramma e commedia, accentuando entrambi i toni, spingendo la comicità verso le gag slapstick e la drammaticità sino al pianto. Tutti si commuovono nel comprendere la difficoltà di agire consapevolmente e provano rimorsi e dolore per gli errori commessi o la colpevole superficialità con cui hanno agito. Ma lo spettatore rimane del tutto indifferente a ripensamenti così orchestrati.
Non esiste la terza dimensione sulla pagina di un fumetto, ma la trasposizione cinematografica non può non tener conto dell'illusione di realismo che il mezzo comporta. Eppure, in questo debole capitolo delle avventure dello stupefacente uomo-ragno, niente sembra avere massa. Né le figure volanti in combattimenti per lo più aerei, né l'arci-nemico di sabbia, incorporeo per definizione e molto defilato nella trama, nemmeno Goblin jr, colpito da amnesia tanto da dover ricominciare la trafila da amico e figlio orfano prima di rendersi conto delle proprie potenzialità negative, e poi redimersi. Così come non ha spessore vero la metafora ambulante del simbionte, capace di trasformare ogni persona nel suo lato oscuro, puro pretesto narrativo per far affrontare a Parker i propri demoni interiori e l'immagine speculare di sé incarnata dal nuovo fotografo, con cui condivide, al di là di una vaga somiglianza fisica, temporaneamente il lavoro e la ragazza, e infine anche i superpoteri in uno scontro del tutto esistenziale e simbolico. Nello sdoppiamento obbligato di ogni personaggio (compresa la schizofrenia di Goblin), Mary-Jane (raddoppiata in Gwen Stacy) rimane ingabbiata nel ruolo di damigella urlante in pericolo, a scapito delle potenzialità del personaggio e dell'attrice che, come invece fa Maguire, non bamboleggia per l'intera pellicola.
Tutto è molto scritto, detto, mostrato, mentre la narrazione balzella qua e là, a volte a suon di musica, a volte come un cartone animato, quasi mai come un film. Più che la conclusione delle puntate precedenti, citate nel testo e nei titoli di testa, assistiamo all'anticipazione di quelle successive, ad un trailer lungo 130 minuti in cui si assaggiano brevemente tutti gli ingredienti dei film a venire, lasciandoci con la stuzzicante fame per quanto intravisto. Tra commedia a volte godibile, fumettone superfluo, drammone lacrimoso, Spider-man ha perso l'identità. Ma forse questo è anche il suo senso, metatesto speculare al film stesso.
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