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Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della...

Regia di Larry Charles vedi scheda film

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La recensione su Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della...

di axe
7 stelle

Il giornalista televisivo Borat Sagdiyev, molto popolare nella sua terra, il Kazakistan, si reca negli Stati Uniti per realizzare un documentario sulla nazione americana, ritenendo che debba essere d'esempio per l'evoluzione sociale della repubblica post-sovietica. Borat, dopo una prima fase di non facile ambientamento, trova un motivo per attraversare gli Stati Uniti da costa a costa. Vuole sposare, secondo la "tradizione kazaka", Pamela Anderson, dopo essersene invaghito vedendola in TV. Vidi questo film per la prima volta oltre dieci anni fa, credo senza sottotitoli, e lo liquidai come puro trash. In questi giorni ho voluto ripetere l'esperienza, incuriosito dalla creazione di un seguito, rivalutandolo. Con lo stratagemma del "falso documentario", il regista americano Larry Charles pone a confronto il modello sociale della terra di origine di Borat, il Kazakistan, con il modello sociale statunitense, ammirato dal giornalista. Del primo sono grottescamente accentuati connotati che lo presentano come primitivo ed involuto. I cittadini kazaki sono razzisti, antisemiti, incestuosi, infarciti di pregiudizi; convivono, tra baracche e rottami risalenti all'era sovietica, con una natura che si è faticosamente ripresa i suoi spazi. Borat, fiero esponente di questo stile di vita, è attratto dall'America, che raggiunge ed affronta "leggendola" tramite il filtro delle sue convenzioni sociali. La visione del mondo di Borat ha poco di ammirevole; ma non possiamo non apprezzare la sua sincerità. Egli è nudo e crudo come ci appare, istintivo, incapace d'ipocrisia. Il contesto nel quale agisce, è all'opposto, intriso di perbenismo, dominato dal culto dell'apparire, pervaso da razzismo ed intolleranza le quali corrono "sotto traccia" e s'insinuano subdolamente nella regolazione dei rapporti tra persone. Pertanto, siamo portati al riso, ed, anche e soprattutto, alla pena, nel momento in cui vediamo un Borat inconsapevole interagire secondo i suoi canoni con una società che ammira e la quale, a sua volta, lo asseconda finchè diverte, piace, dà soddisfazione o fa comodo, trattandolo alla stregua di un animaletto domestico. Sebbene il regista non racconti alcunchè di nuovo, la sua critica verso la società americana coglie, in tal senso, nel segno e va a fondo. Buona interpretazione per Sacha Baron Cohen, il quale aveva creato ed interpretato il personaggio di Borat per serie televisive anglosassoni, prima di portarlo sul grande schermo. Irrita lo spettatore con la propria retorica "retrograda"; è in grado, altresì, di farsi apprezzare, per genuinità di carattere. Impossibile non gioire insieme a lui, nel momento dell'epilogo, che lo vede tornare in Kazakistan riportando quanto di più bello - e vero - secondo i suoi parametri avesse avuto dall'America, una grassa prostitura di colore. Rivedendo questo film, sono rimasto piacevolmente sorpreso. Mi sento di annullare l'iniziale giudizio negativo che avevo dato all'opera, e dare una valutazione più che positiva, per i contenuti e la messa in scena.

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