Regia di Larry Charles vedi scheda film
Ovvero: Studio Culturale Sull'America A Beneficio Della Gloriosa Nazione Del Kazakistan. Così, tutto maiuscolo. Nonostante l'Academy Awards l'abbia clamorosamente snobbato, è Borat l'evento dell'anno. Per l'incredibile successo che ha avuto e perché questo successo ha modificato - o sta modificando - la comunicazione. Paradossalmente non quella cinematografica. Sono il piccolo schermo e Internet ad avere metabolizzato il "Borat Style", ma anche i "nuovi media". Per intenderci, tra i giovanissimi yankee impazza la canzoncina Throw the Jew Down the Well (Getta l'ebreo nel pozzo) come suoneria del cellulare, mentre tutti gli stand up comedians, da Jay Leno a Conan O'Brien, si sentono autorizzati da qualche mese a concedere ai testi e agli ospiti un tasso di turpiloquio e volgarità in più. Senza "beep" a coprire i fatidici "fuck". Borat fenomeno di massa grazie al cinema, come non era riuscito a essere neppure in Gran Bretagna attraverso il programma televisivo del suo interprete Sacha Baron Cohen. Borat che viene subìto in particolar modo dalla Tv, creando un cortocircuito interessante. Persino il sito del nostro - www.borat.tv - preso d'assalto da centinaia di migliaia di persone, è un fenomeno di comunicazione televisiva, e propone un'interazione in tempo... reality. In Italia forse sfugge la portata dell'evento, come dimostra il ritardo con il quale il film viene distribuito (nei paesi anglofoni è già disponibile in dvd). Un'uscita fuori tempo massimo che non si fida di una comicità così poco mediterranea, legata a tradizioni lontane dalle nostre. A partire dal modello principale, confermato dallo stesso Cohen, vale a dire Peter Sellers. Quello trasformista delle sperimentazioni "vocali", soprattutto. Secondo modello il demenziale americano con le sue provocazioni bassomimetiche e politicamente scorrette. Se dietro la macchina da presa ci fosse stato John Landis, chissà il film cosa poteva essere. Tra l'altro, recuperatevi uno degli ultimi lavori del regista, Slasher, mai uscito in Italia: vi accorgerete che il copyright delle false-vere interviste è suo. Questo per dire che Borat subisce la mancanza di una personalità cinematografica capace di potenziare non tanto il personaggio, che è eccezionale di suo, quanto il discorso e i contenuti. Certi bersagli, come il mai domo secessionismo di Birmingham o il razzismo latente dell'americano medio, sono decisamente scontatelli. Ma si ride, e di brutto. L'irruzione del reporter kazako nella chiesa evangelica dei christian reborn, dove persino un deputato del Congresso si lascia tarantolare dal fervore religioso, è irresistibile ma lascia sgomenti. Per tacere di quella sorta di sumo tra contendenti nudi in camera d?albergo - prima - e nella sala conferenze - dopo - che anche se presumibilmente vero ma verosimilmente costruito va a costituire il segmento fantastico di un moderno helzapoppin. Resta da decifrare l'antisemitismo ostentato dell'ebreo ortodosso Sacha Baron Cohen, altro tema non abbastanza sviscerato in sede teorica, forse perché argomento troppo scottante per poter essere affrontato di petto. E qui si entra nel terzo livello di riferimento, quello della cultura ebraica e della sua particolare, fondamentale, complessa e paradossale comicità, tema su cui l'attore insiste lasciando scorgere una problematicità che ha qualcosa di drammatico.
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