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Ratatouille

Regia di Brad Bird, Jan Pinkava vedi scheda film

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La recensione su Ratatouille

di barabbovich
6 stelle

Il topo Remy, che vive nei sotterranei di Parigi insieme alla sua comunità di pantegane, ha un olfatto prodigioso che gli ha conferito un talento straordinario nell'assemblaggio dei sapori. Il caso vuole che finisca nella cucina di quello che una volta era il migliore ristorante di Francia, diretto dal compianto chef Auguste Gusteau. La voglia di sperimentare e di diventare a tutti i costi un cuoco lo conduce rocambolescamente a un accordo con lo sguattero del locale, un inetto - inviso al nuovo, crudelissimo chef - che però, grazie alle trovate gastronomiche di Remy, sta rilanciando il prestigio del locale. La consacrazione definitiva arriverà quando persino il critico gastronomico ultrasnob Anton Ego rimane incantato davanti a un "poverissimo" piatto di ratatouille (la pietanza del titolo che gioca sul richiamo all'intruglio di ratto).
Dal Topolino antropomorfo della Disney al ratto della Pixar, nata da una costola della stessa Disney, il cinema d'animazione ha compiuto passi da gigante: ciò che più colpisce nel film diretto da Brad Bird sono le stupefacenti tecniche di animazione, l'espressività iperrealista dei personaggi, la perfezione della messinscena, la cura dei dettagli, il registro da commedia che sarebbe piaciuto a Blake Edwards. Eppure, rispetto a capolavori come Il gigante di ferro e Toy story, Ratatouille compie un passo indietro: l'apologo sul diverso che va accolto e compreso sa di precotto, l'ennesima variazione sul sogno americano - qui espressa nel motto "tutti possono cucinare" - è stantia e non più credibile (chi non ne è convinto può sempre andarsi a leggere Il sogno europeo di Jeremy Rifkin), l'ironia scarseggia e il doppiaggio italiano è irritante. In questo festival del corrivo si infiltrano però due messaggi degni di nota: quello che in tutto il mondo sono quasi sempre le donne a stare ai fornelli, mentre la celebrità in quest'ambito sembra essere di esclusivo appannaggio degli uomini e quello per cui "C'è più dignità in un'opera d'arte mediocre che in una mia stroncatura, che pur è divertente da scrivere per me e da leggere per voi", come appunta sommessamente il critico draconiano Anton Ego.

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