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Lettere da Iwo Jima

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Lettere da Iwo Jima

di Baliverna
9 stelle

Alcuni drappelli di soldati giapponesi tentano di fronteggiare l'invasione americana su un'isola desolata, e scrivono lettere ai loro familiari. Il loro destino però è già segnato.

Un altro grande film dal non più "spietato" Clint Eastwood, il quale mi pare proprio che migliori con l'età. Dirige con una compostezza classica ed una fluidità che mi lasciano ammirato. Mi sembra che sia anche un regista che giri pellicole di tutto rispetto senza mai strizzare l'occhio al pubblico o al botteghino, che pure però - giustamente - lo premiano.
Qui il grande vecchio col ghigno ci racconta un episodio poco noto della seconda guerra mondiale, da un prospettiva inusuale, cioè quella dei nemici giapponesi. Non c'è spazio però per l'eroismo o per il trionfo in guerra; non possono vantarsi, infatti, neppure i vicitori americani, che vengono descritti senza nascondere le loro cattiverie sotto il velo dell'amor patrio. Io comunque non ho problemi a definirlo un film pacifista, nel modo però più intelligente e meno ricattatorio possibile. Altrove ho letto che il vecchio Clint, sotto la patina dell'umanità della vicenda, nasconde il suo inguaribile spirito guerrafondaio e bellicoso. Costoro cercano proprio quel pacifismo che a me non piace, quello sbattuto in faccia e spesso a senso unico. Oltretutto, io non ho mai pensato che l'ex-attore di Sergio Leone sia un vero militarista alla Chuck Norris. Certo, è un uomo che ha certi valori, tra i quali possono esserci anche la lealtà del soldato e l'impegno nei combattimenti, ma di ottuso militarismo qui non ce n'è.
Tant'è che il detto ottuso militarismo viene nella pellicola spesso messo alla berlina senza pietà: si pensi alle azioni suicide, agli ordini assurdi, alle morti inutili e alla crudeltà gratuita dell'episodio del cane. Qualcuno insinua anche che i giapponesi sarebbero rappresentati in modo negativo, il che rimanderebbe al razzismo del regista. Invece la pellicola - scritta tra l'altro anche da sceneggiatori nipponici - mette bene a fuoco la cultura giapponese, nel bene e nel male. Per essa la resa e la codardia sono veri abomini; la morte con onore è il massimo valore e il suicidio è una nobile via d'uscita.
La retorica dell'odio del nemico viene smontata delicatamente, ma in modo pienamente efficace. Americani e giapponesi si odiano solo perché lo hanno insegnato loro a fare i loro governi, ma le persone in realtà possono essere tranquillamente buoni amici. Qualche anno prima una guerra USA-Giappone non era neppure all'orizzonte, e la sola ipotesi sembrava incredibile. Eppure guerra fu, e americani e giapponesi si dovettero odiare per ordini superiori. A questo proposito sono molto indovinati l'episodio dell'amicizia tra l'ufficiale e i suoi amici californiani e quello del soldato americano ferito, un poveraccio mandato a morte dai superiori esattamente come i giapponesi. Non appena il velo della retorica e della propaganda si lacera, ecco che scocca l'amicizia e la condivisione della sofferenza.
E' notevole anche la definizione dei diversi soldati giapponesi, con le loro sfumature e le loro grandi differenze, come le persone reali.
Non mancano le scene crude, con poco splatter ma tanta forza derivante dalla situazione stessa, che è ben più crudele di quello che fisicamente si vede. E' un film che tiene spesso col fiato sospeso, e sa anche emozionare.
Finora l'avevo snobbato, forse per una mia stupida avversione al semplice suono del titolo, un nome giapponese che per me non significava nulla. Però rientra senza dubbio tra le grandi opere che Eastwood ci sta regalando una dopo l'altra, e tra i migliori film sulla guerra sporca e sbagliata. Suggestiva l'ambientazione in quell'isola brulla e desolata.

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