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Blood Diamond. Diamanti di sangue

Regia di Edward Zwick vedi scheda film

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La recensione su Blood Diamond. Diamanti di sangue

di FilmTv Rivista
8 stelle

Quando due elefanti lottano, recita un antico proverbio africano, chi soffre è l'erba. Le dolenti parole ci sono venute in mente spesso mentre guardavamo questo Blood Diamond, uno di quei filmoni di una volta che, sullo sfondo della tremenda, folle guerra civile che sventrò la Sierra Leone nel 1999, presenta il conto di una sporchissima storia di diamanti, trafficati illegalmente con la Liberia e con quelle nazioni ricche che reclamano a suon di dollari e di euro preziosi gioielli da sfoggiare nelle vetrine delle altrettanto opulente loro metropoli. Diciamo subito che dopo aver appreso e scoperto gli insanguinati percorsi delle pietre nascoste nelle paludi e sgusciate dalle mani di autentici schiavi (esistono ancora, eccome se esistono), le voglie di accaparrarsene una sola svaniscono parallelamente all'evolversi delle informazioni. E il celebre claim pubblicitario «un diamante è per sempre» d'ora in poi andrebbe abolito o quanto meno trasformato in «se vuoi un diamante, assicurati che provenga da giacimenti dove le condizioni lavorative siano umane». Al di là, comunque, dell'aspetto politico, dei contenuti e del forte impegno della pellicola ben diretta da Zwick (Glory, Vento di passioni, L'ultimo samurai...) e scritta più che bene da Charles Leavitt (quello di Verso il sole di Michael Cimino), le quasi due ore e mezza reggono il passo lungo del regista-podista navigato, con il plus di un mercenario a cui Leonardo DiCaprio (candidato all'Oscar per l'atletica performance) dona un contorno modernamente ambiguo, e di una giornalista (Jennifer Connelly: il suo personaggio ricorda non poco un'eroina del nostro tempo, Ilaria Alpi), a cui una quieta scaltrezza consente di evitare pallottole, mine e soprattutto trappole demagogiche. Contrappuntato da una narrazione lineare, Blood Diamond ha la forza di raccontarsi da solo, di attingere le sue radici nel cinema avventuroso, "avvelenandolo" con squarci da reportage televisivo senza censure. Quanto al triste proverbio di cui sopra, che dire se non riportare ciò che più ferisce nel dialogo di un uomo convinto che, senza conflitti, l'Africa (l'erba) sarebbe un paradiso.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 5 del 2007

Autore: Aldo Fittante

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