Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Dopo l'enorme successo del deplorevole primo episodio e qualche anno prima dell'avvilente terza puntata, quattro nuovi capitoli dell'agghiacciante Manuale d'Amore di Giovanni Veronesi. Si comincia subito malissimo con l'episodio intitolato "Eros e fiamme", che narra dell'incontenibile passione erotica tra il giovane Nicola (Riccardo Scamarcio, del tutto sprecato e fuori ruolo, come sempre del resto), costretto su una sedia a rotelle da un incidente stradale, e la giunonica fisioterapista Lucia (una Monica Bellucci 42enne ma ancora incredibilmente bona, straripante da ogni lembo dei succinti abitini indossati, ma, disgraziatamente e per l'ennesima volta, totalmente inespressiva... una bellissima bambolona e nulla più). Preceduto da un martellante battage pubblicitario su una torrida scena di sesso tra i due protagonisti (un paio di minuti durante i quali, ipocritamente, non fa capolino nemmeno un seno), l'episodio è semplicemente imbarazzante da qualsiasi punto di vista (quale sarebbe la morale della storia? Tira più un pelo di f... che una buona fisioterapia?), riuscendo a toccare il fondo con i dialoghi tra Nicola e Dario, il suo compagno di stanza di ospedale (Dario Bandiera, incomprensibilmente candidato al Nastro d'Argento per questa interpretazione), dei quali riporto un sunto succinto... Nicola: "Ca**o... ma che ca**o fai... ca**o!", Dario: "La minchia, la minchia... non mi funziona la minchia, devo fare riabilitazione alla minchia!"... e via così per almeno dieci minuti in un incredibile susseguirsi di ca**i e minchie (non ho tenuto il conto, ma ad orecchio credo alla fine abbiano prevalso le minchie). Tra marchi di acque minerali e brindisi a base di boccaloni di birra ben in evidenza (anche nel distributore automatico dell'ospedale!) non vale nemmeno più la pena di segnalare la lista infinita di prodotti commerciali pubblicizzati di straforo. Trattenendo a stento i conati, si approda al secondo episodio, "Maternità", nel quale una coppia (un discreto Fabio Volo ed un'esagitata Barbora Bobulova, perennemente sopra le righe) non riesce ad avere figli e, a causa delle restrizioni della legge italiana, è costretta a volare a Barcellona per la fecondazione assistita. La storiellina tutto sommato si lascia guardare: il personaggio del povero Franco, marito un po' sfigato e vessato da una moglie perennemente isterica, ispira simpatia e costringe ad interrogarsi sulle difficoltà di tante coppie italiane, costrette ai proverbiali "viaggi della speranza" per coronare il proprio sogno di concepire un figlio. Un vaghissimo tentativo di denuncia sociale lo troviamo anche nel terzo episodio ("Matrimonio"), nel quale una coppia gay composta da Filippo (Antonio Albanese, bravo) e Fosco (Sergio Rubini, troppo forzato e caricaturale), dopo aver affrontato le inevitabili difficoltà familiari di un tribolato coming out e l'intolleranza ignorante e violenta di un gruppo di balordi, riuscirà a coronare il proprio sogno d'amore, anche in questo caso con un viaggio in Spagna, paese che consente le unioni omosessuali. La storiella è fin troppo buonista e politicamente corretta ma, pur nella sua pochezza e come nel secondo episodio, ha il merito di ribadire l'impietoso parallelo tra un'Italia decrepita e conservatrice e una Spagna sempre più progredita e socialmente evoluta (erano gli anni d'oro di Zapatero... prima dello spread e della crisi economica). E la Spagna ritorna anche con il quarto episodio, intitolato "Amore estremo" e affidato al solito immarcescibile Carlo Verdone che dirige... pardon... interpreta una sorta di rilettura del suo indimenticabile "Un sacco bello", ma questa volta la bella e giovane spagnola Cecilia (una sensualissima Elsa Pataky) non giunge a mettere a soqquadro la vita del bambinone Leo ma del maturo marito e padre di famiglia Ernesto che, a colpi di Viagra, finirà per rischiare letteralmente di rimetterci le coronarie. L'episodio è a tratti molto spassoso, decisamente il migliore del quartetto e probabilmente dell'intera saga del "Manuale d'amore". L'antefatto/epilogo, affidato al disc-jokey Fulvio (Claudio Bisio, poco più di un cameo il suo) è francamente esornativo. Molto bello il brano di Elisa che fa da filo conduttore dell'intero film e che regala connotazioni (un po' incongruamente) malinconiche alle vicende narrate. In definitiva, probabilmente la puntata meno indegna di una pessima trilogia, diciamo una risicata sufficienza, se non fosse per il primo avvilente episodio che abbassa parecchio la media generale: due stelle.
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