Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Da un'idea di Marco Belpoliti, Davide Ferrario coglie la palla al balzo per un documentario on the road che si apre alla rievocazione delle avventure 'picaresche' de La Tregua, attraverso le macerie lasciate dal dissolvimento dell'ex impero sovietico, in una ideale prosecuzione delle riflessioni proposte dal grande intellettuale torinese.
Da Ground Zero ad Auschwitz, e poi sulle tracce del lungo e tortuoso percorso nel cuore dell 'Europa orientale devastato dalla guerra seguito da Primo Levi di ritorno a casa sessantanni prima, si snoda questa ricognizione documentaria di Davide Ferrario e Marco Belpoliti. Anche questo, come quello di allora, l'interregno problematico e complesso di una tregua, un periodo di sospensione tra l'orrore dell'ultimo abominio perpetrato dall'uomo sull'uomo e quello prossimo venturo.
La Medusa non ci ha impietriti. Non ci siamo lasciati impietrire dalla lenta nevicata dei giorni.
Da un'idea di Marco Belpoliti, studioso e curatore dell'opera di Levi, Davide Ferrario coglie la palla al balzo per un documentario on the road che si apre alla rievocazione delle avventure 'picaresche' de La Tregua, attraverso steppe sconfinate, paesaggi bucolici e le macerie materiali e ideologiche lasciate dal dissolvimento dell'ex impero sovietico che proprio da quella guerra, ormai lontana nel tempo e nella memoria, era riuscita dominatrice incontrastata. Una ideale prosecuzione delle riflessioni proposte dal grande intellettuale torinese (un appellativo che forse non avrebbe gradito molto) che si è scoperto testimone suo malgrado di un abnorme progetto di sterminio etnico, ma che vi ha saputo cogliere, al di là della brutale contabilità di una contingenza storica e di una collettiva follia di dominio, la vera natura dell'uomo: essere duplice e centauresco, fatto di terra e di spirito vitale e per questo capace di racchiudere in sè la perversione degl istinti animali e l'ineffabile anelito al divino.
Da Katowize a Zemerinka, da Ovruc a Starye Doroghi e poi giù fino a Iasi, Ploesti, Curtici, e poi ancora Vienna, Monaco e finalmente il Brennero: un viaggio che come quello di Levi sembre destinato ad approdare al sicuro porto di Odessa dove non arriverà mai, trascinato questi lungo i segmenti impazziti di una strada ferrata frammentata dai fronti in disarmo, in un viaggio della speranza e del disincanto ('Guerra è sempre!' dice Mordo Nahum) che lo condurrà finalmente a casa dopo dieci lunghi mesi, restituendolo al suo mestiere di chimico ed alla sua incidentale vocazione letteraria. Un parallellismo, quello di Ferrario, che si lascia trascinare dall'avventura del cinéma vérité e dagli imprevisti dell'improvvisazione, ma che appare chiaramente mosso da una precisa pianificazione tematica e itineraria: dalla Polonia delle fabbriche in dismissione accompagnati dal cicerone Andrzej Wajda all'Ucraina della tragedia della pop star Igor Bilozir e delle irreversibili contaminazioni di Chernobyl, dai kolchoz relitti di una Bielorussia dove ancora sopravvive il controllo ideologico sull'informazione (e sulle riprese!) alla Romania del post Ceaucescu, origine di una emigrazione verso il belpaese fatta di autobus e giovani badanti costrette lontane da casa per garantire un futuro ai propri figli; infine la grigia e umida pianura magiara, sconfinato deserto umano che rievoca, nelle suggestioni ambientali care a Béla Tarr, l'anticamera di un inferno da cui uscire faticosamente, approdando finalmente alle porte dell'Europa liberata temporaneamente dagli incubi di un passato ancora troppo recente.
Un film imperfetto dunque, una specie di work in progress filmato, fatto di riflessioni liriche e passaggi pittoreschi, che chiude la sua estenuata disorganizzazione (come il viaggio che i sovietici approntarono per i reduci di Auschwitz) con la testimonianza di un canuto Mario Rigoni Stern che accompagna scolaresche meneghine sull'altpiano di Asiago e ricorda, con la nostalgia irrevocabile delle occasioni mancate, l'ultimo appuntamento per Natale che aveva dato all'amico ormai scomparso da tempo e che come lui, aveva tollerato la vista di Medusa che non lo ha impietrito e che, come lui, non si è lasciato impietrire dalla lenta nevicata dei giorni.
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