Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
La strada di Levi è un viaggio nella memoria, una divagazione su un tema di vita durato otto mesi, una sospensione temporale tra l'orrore e la normalità, una tregua. E' il viaggio di ritorno a casa tra un'Europa a pezzi, fangosa e lacera di Primo Levi dopo il rilascio dal campo di concentramento di Auschwitz, nel gennaio del 1945. Vicende narrate nel romanzo La Tregua, già trasposto in un film Francesco Rosi con John Turturro. Sessant'anni dopo, Davide Ferrario prende le pagine dello scrittore piemontese e ne segue tutto l'itinerario, accompagnando lo scorrere del paesaggio e dei volti con le parole intrise di una grande tristezza a creare un contrasto di sentimenti estremamente efficace. Dalla Polonia in Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia,Romania, Ungheria, Austria, Germania, un itinerario casuale trasportato da treni fantasma, carico di fantasmi in cerca delle proprie case, al traino di solitari e sgangherati mezzi superstiti di una guerra che non aveva risparmiao nulla e nessuno. Un viaggio tra i volti segnati da un'immane tragedia. Nell'Europa comunista, tra la fine della 2° guerra mondiale e l'inizio della guerra fredda il racconto di Levi si fa dolce, trovando nelle silenziose campagne, nelle paludi Bielorusse, nella agreste e sincera cortesia delle persone una pace che fino ad allora non aveva potuto assaporare. La tregua, la tregua dell'anima rispetto a sè stessa, ai suoi doveri, al giudizio della storia, alle ferite da rimarginare. Quello che si vede ora è un'Europa allo sbando, l'Europa degli emigranti, della povertà di una popolazione che non regge il passo con i paesi con i quali è agganciata, che insegue il mito del consumismo (una ragazza intervistata dichiara di emigrare perchè la figlia ormai grande ha bisogno di soldi per il computer e de i bei vestiti), schiacciata tra un futuro incerto e un passato ingombro di un'ideologia che fatica ad essere superata. Ai villaggi agresti si sono sostituite le città alveare, agenzie di viaggi propongono una vera vacanza comunista a bordo di vecchie Trabant turistiche, la faccia di Mao, del Che, di Lenin e altri appaiono su orologi, magliette, tazze come se la caduta del muro di Berlino appartenesse ad un altra era geologica, mentre la città fantasma a ridosso della centrale di Cernobyl richiama tristemente alla realtà oscurantista del regime, i ritardi delle informazioni, dei soccorsi, l'evacuazione, il seppellire tutto sotto quintali di cemento e malainformazione. Il contrasto con i passi del Libro è stridente, irridente quasi a dare una connotazione di triste comicità, è cambiato tutto e sembra non sia cambiato niente. DAvide Ferrario sceglie un registro leggero, cerca di mostrare quello che Levi ha visto attraverso gli occhi di un tempo diverso, attraverso brevi interviste, sgurdi fugaci sui volti senza indugiare sulla miseria della gente ne mostra le difficoltà. Non è un documentario di denuncia questo, alla Michael Moore, anche se ormai il tipo di ripresa ha fatto scuola. E' una panoramica su qualcosa che non c'è più o che forse non c'è mai stato, una sospensione temporale che molto spesso esiste solo nel cuore di chi la vive, una tregua.
La strada di Levi finisce a Torino, finisce il viaggio di ritorno a casa e ricomincia quello della normalità, finita la tregua inizia il periodo del dolore vero, quello delle ferite che non si rimarginano più. "Auschwitz ti infetta" dice ad un certo punto, instilla la morte nell'anima e ogni notte, racconta Levi, sognava di essere in quel campo dove forse sarebbe dovuto morire. Lo sprofondare nell'oscurità, l'abbandonarsi al subdolo richiamo della morte è contrastato dalla scrittura dei suoi libri, dalle testimonianze, dal ritorno ad Auschwitz per esorcizzare, forse quell'orrore vissuto sulla propria pelle. Di quelli partiti con lui dal campo, 150 ne arrivarono a casa 3. Levi si uccise buttandosi dalle scale di casa sua. La strada di Levi è finita, la tregua è finita.
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