Regia di Michel Gondry vedi scheda film
La scena in cui i due poliziotti riportano in casa il pianoforte semi-distrutto e lo "collaudano" dimostrandosi musicisti provetti nonchè sapienti musicologhi rende l'idea che sta alla base del cinema di Gondry: anarchia allo stato puro, continue trasgressioni di qualsiasi codice, surrealismo onirico, gusto del paradosso, caos creativo, potere alla fantasia. Difficile trovare nel cinema contemporaneo un altro film capace di trasferire la materia dei sogni in quella filmica con la stessa "verosimiglianza" di cui è stato capace Gondry in questa opera. L'unico problema, già riscontrato altrove nella filmografia del regista francese, è il permanere di una sovrastruttura narrativa così cerebrale, labirintica, dispersiva da compromettere spesso il piacere della visione. Fortunatamente qui non si registra il naufragio di "Se mi lasci, ti cancello", ma d'altra parte viene anche un po' a mancare la leggerezza commovente di "Be Kind Rewind" (recuperata tuttavia nela finale dolce-amaro). Ottima la prova attoriale, anche delle seconde file: memorabile il collega pervertito di Stephane! In questo disordine creativo convivono geniali trovate visionarie con passaggi intellettualistici, un complesso ordito psico-narrativo con vignette che paiono improvvisate, un'estetica avveniristica, iper-cinematografica, multimediale, il crossover di arti, il sincretismo di stili con agganci alla libertà perduta di un Lester, di un Godard, di un Fellini o anche (perchè no?) alle fantasie musicali e scenografiche di un Donen o di un Minnelli, riferimenti a prima vista fuori luogo, ma solo se si dimentica che Hollywood, ai tempi d'oro, veniva chiamata la "fabbrica dei sogni"...
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