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L'arte del sogno

Regia di Michel Gondry vedi scheda film

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La recensione su L'arte del sogno

di ROTOTOM
8 stelle

Sogni in pannolenci e feltro con le cuciture grosse, morbidosi e caldi. Animali, pupazzi, pony boy e stelle in un cielo vero finto vero. Barchette con foreste e acqua di cellophane in scaglie, e nuvole appese al soffitto con collante musicale. Magia o schizofrenia? Cinema o videoclip? Sogno o realtà? Amore o voglia d’amore? Gael Garcia Bernal ha la faccia giusta e il corpo minuto avvolto in una giacca demodé, una giacca vinaccia taglio Beatles. Charlotte Gainsbourg truccata da non truccata sciatta, è bruttina ma affascinante, ha un sorriso inverso come se le avessero attaccato la bocca al contrario e quando sorride sembra che pianga e viceversa. La realtà è quella leggera ingombra dei sogni di Stephan che deve accordarsi ai ritmi, al pulsare di Stephany, al non capirsi e amarsi senza saperlo, o alla paura di non saper amare. Il sogno ricorre nei film di Gondry, qui alla sua prova più personale, ricorre come fuga da una realtà opprimente, è una scappatoia verso la libertà più libera, quella in cui non solo i sogni si avverano ma si sostituiscono alla realtà stessa creando un mondo una volta tanto plasmato a immagine e somiglianza di chi sogna. Stephane e Stephany sono la stessa persona, esattamente come due persone che si incontrano su un marciapiede si spostano entrambi dallo stesso lato sincronizzati come pendoli e che potrebbero senza intercessione del cervello a spezzare il ritmo della sincronia, andare avanti per sempre, così essi incontratisi su uno stesso pianerottolo devono trovare l’accordo giusto (Stephan mette in musica le frasi di Stephany), il secondo giusto (Stephan inventa la macchina del tempo per andare avanti o indietro di un secondo), i materiali giusti (entrambi creano un mondo fatto di materiali diversi, lui coi sogni, lei con le mani), per poter vivere lo stesso tempo ed amarsi. Il film è delicatissimo e molto dolce, giocato sul filo di una sceneggiatura esilissima che privilegia la rappresentazione visiva dei sogni e delle emozioni dei personaggi piuttosto che sottolinearle con le parole, tessuto filmico rammendato da cuciture grosse di irresistibile umorismo surreale che rende assolutamente inevitabile il perdersi nell’immaginario onirico del protagonista, delle sue invenzioni bislacche, nel goffo tentativo di comunicare con la ragazza con la quale instaura un rassicurante rapporto di amicizia e di fanciullesco sentimento d’amore. Il punto di contatto tra Stephan e Stephany sono così simboli, personaggi e paesaggi immaginari che con il progredire del film si incastrano e si fondono alla realtà creando il giusto sincrono affinché i due ragazzi possano finalmente amarsi senza le catene della realtà. Il titolo originale “La scienza del sogno” ci spiega infatti come vengono costruiti i sogni, da direttamente dentro la testa del protagonista, una ricetta fatta di esperienze, di impulsi, colori, materiali, sapori, sensazioni dei quali forse neppure ci si rende conto. Una volta scivolati nel colorato onirico di Stephan tutto l’assurdo diventa assolutamente plausibile, molto più rassicurante del logico e geometrico reale, in quanto la rappresentazione di tali sogni è costituita da materiali disparati, che abbandonano la loro funzione originaria assumendone una totalmente nuova e vitale, materiali conosciuti che formano mondi tangibili riconoscibili. Sono materiali di riciclo, cose che comunemente si buttano quando esauriscono il loro status utilitaristico di oggetti, il ripensare all’oggetto come qualcosa di bellissimo e basta, attribuendo alla materia inerte un’anima astratta, propria, esclusiva. Tappi di bottiglie, animelle di cartone per carta igienica, fili di lana, vetro e cellophane, cartone ondulato e così via, si ricollocano diventando acqua, nuvole, città, automobili. Sono materiali rassicuranti, innocui, indifesi, che acquistano nuova vita e un nuovo senso nell’immaginario onirico di Stephan e poco a poco anche di Stephany che questi oggetti materialmente li crea, esattamente come loro stessi, da indifesi si ribellano a modo loro al quel ruolo che la vita ha loro destinato e si ricollocano reinventandosi in un mondo personale fatto di questi materiali, animati senza l’ausilio della computer grafica, con tutta la romantica imperfezione degli oggetti che hanno corpo, spessore, consistenza e che fungono da punto di contatto tra i due protagonisti, nelle rispettive solitudini fatte di sogni.

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