Regia di Michel Gondry vedi scheda film
E’ fatta della materia impalpabile dei sogni questa gradevolissima pellicola di Gondry che è anche la conferma delle sue indubbie e inusuali qualità. La potenza delle immagini, l’andirivieni onirico dei due protagonisti, la poeticità complessiva dell’assunto, fanno sì che il risultato finale sia affascinante e le emozioni prepotenti e profonde.
E’ fatta della materia impalpabile dei sogni l’ultima gradevolissima opera di Michel Gondry che è anche la conferma delle sue indubbie e inusuali qualità. Se non raggiunge qui i vertici assoluti del precedente “Se mi lasci ti cancello” (e le ragioni vanno probabilmente ascritte al fatto che questa volta manca l’apporto creativo della scrittura di Charlie Kaufman, perché le imperfezioni – se così vogliamo definirle – riguardano soprattutto la sceneggiatura forse un po’ troppo esile e “dilatata” che determina qualche passaggio non del tutto risolto) la potenza delle immagini che rendono palpabili l’andirivieni onirico dei due protagonisti, la poeticità complessiva dell’assunto, fanno sì che il risultato finale sia ugualmente affascinante e le emozioni prepotenti e profonde. Il sogno come “possibile” fuga in un universo parallelo che può in qualche modo compensare le frustrazioni e le insicurezze della realtà allora, una “dimensione onirica” che diventa il rifugio rassicurante e la spinta necessaria per aiutarci a superare i propri limiti, ma assume contemporaneamente anche la pericolosità di una “prigione” dalla quale è poi difficile liberarsi per tentare di vivere davvero la vita “che vorremmo” e che è a portata di mano se solo riuscissimo ad acquisire anche nel quotidiano la stessa libertà disinibita della fantasia. “Quel che c’è di mirabile nel fantastico è che il fantastico non esiste, tutto è reale” sono parole di André Breton che ben si attagliano a quest’opera (ed evidenziano proprio la validità, ma anche i limiti di queste digressioni immaginarie che, se diventano la parte preponderante del nostro quotidiano, possono davvero rischiare di farci perdere la bussola) un altro poema concentrato sull’amore, e sulla idealizzazione del rapporto in un’altra “impossibile” dimensione, con una sovrapposizione dei due piani – il vissuto reale e l’oniricità delle proiezioni fantastiche che rendono tangibili i desideri e le aspirazioni - così vertiginosa e continua che può persino farci un poco smarrire nel labirinto delle suggestioni di questo andirivieni incessante che ci avvolge come una tela di ragno. Si dice che questa storia di due ragazzi affini che hanno difficoltà ad incontrarsi di giorno, ma riescono a “condividere” i sogni all’interno dei quali si integrano perfettamente riconoscendosi analoghi e “compatibili”, sia semplicemente la “dilatazione” di un’idea già utilizzata dal regista per un video dei Foo Fighter, e sicuramente il punto di partenza è questo, ma a me sembra che nella realizzazione pratica Gondry ci abbia davvero messo molto di più, e ne abbia fatto un’opera autonoma e indipendente che enfatizza proprio la difficoltà dei rapporti, spesso casuali e maldestri per le incapacità frustranti di credere nelle nostre potenzialità, anche con persone particolarmente “affini” come dimostra la sintonia del ritrovarsi negli stessi sogni. Non è solo un “teorema astratto” quindi, ma l’ analisi di un vissuto che riguarda il nostro presente e che fotografa perfettamente le difficoltà dei rapporti interpersonali che “isolano” spesso le nuove generazioni. Forse dico un’eresia, ma il film mi ha fatto ricordare in qualche modo, anche se le prospettive e le procedure sono differenti, “Billy il bugiardo” di Schlesinger, e la sua “costruzione parallela di storie”, anche se qui le fughe none erano sogni, ma immaginazione creativa per sfuggire allo squallore del quotidiano. Lì c’era il realismo privo di orpelli del Fre cinema che ben riproduceva i disagi di una “insoddisfazione” giovanile e provinciale di un’epoca ormai lontana, qui c’è l’aggiornamento “colorato” e naive dell’assunto, e la dimensione se sfiora ancora una volta il sociale (il disagio lavorativo, la impossibilità di far valere nella vita la sua creatività innovativa) privilegia in maniera preponderante il rapporto privato dei sentimenti (la vicina di casa, la madre, il ricordo del padre) ed ha uno sviluppo più esistenziale. La trama è fragile, quasi inesistente e si concentra su questi due ragazzi (singolarmente analoghi anche nel nome: Stéphane e Stéphanie), vicini di casa sognatori e un po’ artisti, innamorati ma incapaci di dichiarasi che trovano solo nella dimensione del sogno quell’intesa perfetta che non vogliono (più lui che lei veramente) o non sono capaci di ricreare nella realtà. E la proiezione è animata da quegli oggetti “fantasiosi” che prendono vita e che diventano l’universo parallelo delle favole dove i due diventano protagonisti ed eroi di un cartoon surreale, due figurine ritagliate da un giornale che galoppano su un cavallo di stoffa verso un orizzonte disegnato e un futuro (im)possibile che è pura astrazione…. Una ricostruzione “artigianale” dell’immaginario così emozionante, "vera" e irreale al tempo stesso, da essersi meritata il riconoscimento di una “mostra itinerante” (parlo ovviamente delle scenografie) passata anche da Milano che consente di apprezzarne dal vivo la qualità coinvolgente dell’inventiva e che rappresenta un ulteriore (non ultimo) elemento di pregio di quest’opera singolare. Di particolare consistenza anche la resa degli interpreti, tutti scelti con meticolosa cura e una attenzione all’“aderenza” fisica straordinaria : Gael Garcia Bernal e Charlotte Gainsbourg (ma non solo loro, naturalmente), sono “perfetti” e appropriati, due insostituibili presenze “animate” - piccoli pupazzi di stoffa che solcani i cieli di quella immaginaria città di cartone - che rendono credibili e veritieri i due “antieroi” che rappresentano, eccezionali e contraddittori al tempo stesso ,fragili ed imperfetti e per questo straordinari nella loro semplicità disarmante.
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