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La ricerca della felicità

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su La ricerca della felicità

di Antisistema
3 stelle

La competizione non è altro che un ignobile metodo della società capitalista per mettere l'uno contro l'altro nella lotta per primeggiare. In effetti quell’unica volta che ho avuto modo di guardare dall'alto in basso qualcuno, non ho provato praticamente nessuna emozione, poiché la mia felicità di essere sopra qualcuno, si basava sostanzialmente sull'infelicita' degli altri che non erano riusciti a primeggiare. Il film La Ricerca della Felicità (2006), tratta un po' di quest'argomento ed ha per protagonista Will Smith, che in veste di attore-produttore, puntò sul regista italiano Gabriele Muccino; e contro ogni pronostico gli incassi furono stratosferici e la critica USA andò in visibilio. Per essere un film che mette al centro il sogno di un individuo e la ricerca della felicità da parte di ognuno, l'assunto di base arriva a sostenere dei risultati abbastanza abietti.

 

 

Sostanzialmente il film è un percorso di continui alti e bassi di Cristopher Gardner (Will Smith), che tra varie vicissitudini economiche e lavorative troverà, insieme a suo figlio (Jaden Smith), la forza di uscire da una situazione personale disagevole per inseguire la propria felicità. Il film quindi non è altro che un ennesimo elogio del Sogno Americano, narrato come se fosse una favola alla Frank Capra. Ora, il sottoscritto non digerisce molto il cinema del regista italo-americano, ma per lo meno i suoi film avevano un senso negli anni 30’ e 40’; non ha scusanti invece una riproposizione di questi temi in un film del 2006, dove tutti quanti sanno che il Sogno Americano non è mai esistito. Il protagonista è alla costante ricerca di soldi, che il film sembra identificare con la felicità. Chi ha un bel lavoro, chi occupa posizioni di controllo, chi ha belle case e soprattutto tanti soldi, è felice, mentre i poveri sono eterni infelici, frustrati e senza spirito di iniziativa per poter uscire dalla propria condizione sociale. La cosa irritante è che Muccino vuole utilizzare il tono della favola per mettere in scena la scalata sociale di Gardner, commettendo però la presunzione di usare uno stile favolistico che dovrebbe essere portatore degli elementi più positivi e puri dell'animo umano, ed invece il regista sfrutta la favola per fare uno spottone sulla ricerca dei soldi e quindi, per sostenere l'equazione felicità = tanti soldi. Il messaggio è abietto, ma se Muccino la pensa così non c'è problema (ognuno ha le sue idee), ma la cosa irritante è l’onnipresente voce fuori campo del protagonista che di tanto in tanto ciarla di valori ed articoli della Costituzione americana, aumentando il tasso di retorica con un insieme di frasi fatte fasulle, che vorrebbero avere la pretesa di non far scadere il film su una lettura meramente materiale, cercando quindi un messaggio idealista, il quale però finisce con il cozzare con quel che si vede nella pellicola. Non a caso molte frasi di questo film (tra cui il celebre discorso che Will Smith fa' al figlio sul fatto che se si ha un sogno, esso và rincorso con tutte le forze), sono diventate post da Facebook, per via della scarsa profondità contenutistica, che ben si confà con la scarsa propensione all'analisi degli utenti di tale social network, che oltre 2-3 frasette banali su cui mettere mi piace, evidentemente non riescono ad andare.

 

 

Muccino sceglie il tono della favola, cercando al contempo fastidiose pretese autoriali con una fotografia ombrata dai colori desaturati, per cercare di dare un'estetica proletaria (specie nelle sequenze ambientate nei quartieri bassi), mentre predilige luminosità accese e colori neutri (Il bianco) nel ritrarre gli uffici finanziari dei broker e le belle ville degli alto-borghesi. Alla Ricerca della Felicità è un film abietto, che vorrebbe farsi promotore della ricerca di un sentimento puro ed autentico, identificandolo con i soldi ed un lavoro “rispettabile", ma al contempo cerca di lanciare messaggi pretestuosi contro il denaro (tutti i problemi del protagonista derivano da ciò) e quindi mostra tutta la sua contraddizione. Non so quanti soldi Wall Street abbia dato alla produzione, perché tutti i broker (ma proprio tutti), sono rappresentati come dei personaggi dai modi gentili e sempre pronti a darti una mano, in netto contrasto con il loro lavoro di squali della finanza (vedasi Wall Street di Stone del 1987, film come questo ambientato nell'epoca Reganiana). Un illuminante carrello mostra ad un certo punto, i 20 aspiranti stagisti (tra cui il nostro Gardner) che seguono di qua e di là in ufficio il loro insegnante; Muccino quindi vorrebbe farci immedesimare in questi lecchini che seguono il flusso senza pensare e che ridono a stupide battute del loro capo ufficio per compiacerlo. Il film di Muccino nonostante il grosso successo di critica in America e di pubblico (oltre 300 milioni), è una pellicola che dopo appena 12 anni è irrimediabilmente datata ed anche irritante, visto che appena un anno dopo avverrà la grande crisi di cui la gente che il film elogia, ha forti responsabilità. In un'epoca di pessimismo cosmico e dei primi governi anti-sistema (A parole, nei fatti vedremo...) che promettono di dare voce agli sconfitti del capitalismo (Trump negli USA, il governo socialista in Portogallo e Lega-Movimento Cinque Stelle qui in Italia), la favola Mucciniana totalmente scollegata dalla realtà (che fa uso di una colonna sonora molto ruffiana e che ammazza ogni tentativo di dare profondità anche ai momenti in cui il nostro protagonista si ritrova veramente in basso), può essere allegramente rottamata per manifesta falsità e retorica indigesta, perché non è vero che se lavori duro e ti impegni, troverai un lavoro remunerativo.

 

 

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