Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
San Francisco, 1981. Chris Gardner (Smith) ha 30 anni, è nero e ai campionati mondiali della sfiga sarebbe capace di arrivare secondo. Già perchè in un'ora e cinquanta di film riesce a inanellare una serie impressionante di colpi sfortunati: la moglie (Newton) lo lascia, il lavoro gli va malissimo e gli scanner ossei che dovrebbe vendere per arrivare alla fine del mese rimangono accatastati in casa. Perde anche quella, lo buttano fuori dal motel ed è costretto ad chiedere accoglienza, figlioletto di cinque anni al seguito, agli ostelli per i poveri. Ma Chris ha anche tanta buona volontà e così, studiando di notte e correndo come un matto di giorno, riesce a trovare un posto di lavoro come broker e ad arricchirsi.
Da un soggetto di Steve Conrad, fortissimamente voluto dal protagonista Will Smith (peraltro assai bravo nell'ultima scena) e ispirato a una storia vera, Muccino non poteva ottenere che una versione ipersemplificata del sogno americano: tutti ce la possono fare, sostiene il regista romano a lettere cubitali, e così via snocciolando tutto il repertorio di luoghi comuni, truismi e sciocchezze assortite. Se nel film i negri avessero parlato dicendo frasi tipo "Zì, badrone", il repertorio di banalità sarebbe stato completo. Ma ciò che ancora di più sconcerta ne La ricerca della felicità è l'andatura claudicante, ripetitiva e noiosa del racconto, quando proprio la capacità di raccontare, anche a suon di banalità, era sembrata finora la carta vincente del regista de L'ultimo bacio, qui al suo primo film oltreoceano. Inutile dire che in USA e in Italia il film ha sbancato ai botteghini.
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