Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
La prima impressione è che, sin dal titolo, sia una clamorosa ruffianata sul sogno americano vista dagli occhi del forestiero “che ce l’ha fatta”, un trionfo di melassa al limite della pietà che mette in difficoltà lo spettatore esperto e più scafato nella platea di cuori teneri. Muccino riesce a non sprofondare nel ridicolo perché, incredibile a dirsi, sceglie la strada opposta a quella che l’ha condotto negli States: all’isteria generazionale de L’ultimo bacio ha preferito il ritratto sottovoce di un singolo. È una storia intensa e commossa su tre amori di Will Smith, broker decaduto finito in mezzo ad una strada (nomination all’Oscar): quello che finisce con sua moglie (il personaggio di Thandie Newton è un vero rigurgito di muccinismo classico); quello col figlio (filone educativo, pedagogico, familiare, strappacore); e quello infinito con il Paese delle grandi possibilità. E suggerisce che, forse, l’unico vero primofilm che un autore europeo può realizzare in America è un film sul suo rapporto con l’America (Wenders e Paris, Texas docent, ma era decisamente un’altra storia). Ben confezionato, ben diretto, ben rappresentato, ma incredibilmente paraculo.
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