Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
Lo stato di salute di una cinematografia si misura dalla capacità di produrre film come “The pursuit of happines” che lungi dall’essere un capolavoro si attesta nella fascia del cosiddetto prodotto medio, tanto vituperato dagli Autori nostrani per la sua connivenza con gli aspetti più prosaici del processo produttivo ma capace per appeal commerciale di sovvenzionare i voli pindarici dei cosiddetti Artisti. Inoltre dimostra che anche una cinematografia asfittica e presuntuosa, legata ad un idea di cinema che non esiste più, può dare i natali a talenti genuini come Crialese ed appunto Muccino, capaci di coniugare l’indipendenza dello sguardo alle esigenze di una forma estetica sempre più decisiva per attirare il gusti di un pubblico lobomizzato dal chiacchiericcio mediatico a cui è sottoposto. Ed è proprio la forma l’aspetto vincente ed insieme il difetto del film di Muccino qui alle prese con una sceneggiatura non facile da trasporre sotto l’aspetto visivo per quel modo di rappresentare la felicità attraverso un percorso esistenziale solitario ed ascetico, in una società darwinista che esclude i più deboli ed esalta i sogni dei vincitori. Senza i consueti personaggi di contorno abilmente interpretati dal solito stuolo di caratteristi, in mancanza di una retorica anticapitalistica che il film evita fin da subito con una visione di fondo pragmatica ed insieme eroica che non lascia spazio ad atteggiamenti consolatori e facili sentimentalismi, il film poggia tutto sull’abilità di Will Smith di dar vita ad un agone che riesce a rendere credibile, attraverso una recitazione naturalista che lavora di sottrazione e senza i consueti isterismi la dignità e la disperata ostinazione che impronta la vicenda umana del protagonista ed alla capacità del regista di rendere in pellicola la città di San Francisco, l’altra grande protagonista del film che Muccino riesce a trasfigurare nel simbolo dell’american way of life senza venir meno alla necessità di una lettura realistica del paesaggio. Ed è un peccato che a tali qualità non corrisponda una resa emozionale parimenti efficace laddove la perfezione della cornice finisce per soffocare l’urgenza dei sentimenti lasciando una sensazione di generale freddezza
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