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L'aria salata

Regia di Alessandro Angelini vedi scheda film

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La recensione su L'aria salata

di maghella
7 stelle

Un traghetto. Un uomo comincia a parlare con un bambino che disegna. Un dialogo semplice, simpatico, su i colori tipici che i bambini usano per colorare il prato: il verde.

Il prato ha tanti altri colori, ma i bambini lo colorano sempre di verde” dice l'uomo al bambino, “ci stanno i marroni e anche il nero.”

Al bambino il nero non convince e piace poco: “dov'è il nero nel prato?

Quando stai a faccia in giù è tutto nero” risponde l'uomo. Cade una matita colorata, l'uomo per chinarsi a raccoglierla mostra le manette ai polsi.

 

Inizia così “L'aria salata”, prima opera di Alessandro Angelini.

L'uomo è Luigi Sparti, detenuto per omicidio, in galera da 20 anni sta scontando una pena di 30. E' in viaggio sul traghetto per un trasferimento dal carcere di Sassari a quello di Rebibbia a Roma perché epilettico.

Nel carcere romano lavora come educatore il figlio Fabio, che non vede e non sente da quando è in galera. Fabio riconosce subito il padre durante un colloquio di presentazione, Luigi no, per lui è uno dei tanti addetti al lavoro.

 

Fabio entra in crisi. La madre di Fabio è morta da tempo, l'unico suo legame famigliare è la sorella Cristina con cui ha un ottimo rapporto e alla quale confida subito la sua intenzione di farsi riconoscere dal padre.

 

Luigi ha ucciso un uomo vent'anni prima, da allora non ha più voluto legami affettivi, sconta la sua pena in solitudine. Fabio inizialmente con lui è molto duro e scontroso, durante un diverbio molto aspro gli dice che è suo figlio.

Da quel momento le cose cambiano per Fabio, che decide di voler in qualche modo riallacciare i rapporti con il padre, facendogli ottenere un primo permesso di uscita dopo vent'anni di detenzione.

Il giorno di libera uscita sarà anche il primo giorno che padre e figlio passeranno insieme dopo molti anni, nel quale cercheranno di dirsi quello che non si erano mai detti.

 

La storia è molto originale e improbabile allo stesso tempo, un pretesto per parlare di rapporti famigliari, di solitudini e incomunicabilità. La casa come una prigione, un padre come un detenuto forzato in un ruolo che ha subito e non cercato.

In quante famiglie padri e figli non si parlano per anni, non si conoscono senza essere per forza in un carcere? Luigi e Fabio non si conoscono, portano l'uno verso l'altro antichi rancori dettati da rapporti malati e influenzati da altre mille situazioni esterne.

Usciti dal carcere (dalla casa? Dalla famiglia?) finalmente possono vedersi per quello che sono, conoscersi, farsi del male e poi perdonarsi.

 

Luigi sa che una volta uscito dal carcere, da quella realtà, non potrà più ritornare indietro.

Fabio lo lascerà andare e potrà così finalmente riconoscerlo per suo padre.

 

Una storia che funziona grazie anche e soprattutto ai 3 bravi interpreti: Giorgio Pasotti-Fabio, Giorgio Colangeli-Luigi e Michela Cescon-Cristina.

Colangeli e la Cescon riescono in particolare a dare ai loro personaggi mille sfaccettature e sfumature, che arricchiscono non solo i loro ruoli ma tutta la storia, facendo intuire e immaginare meglio episodi che nemmeno si vedono nel film, ma che solamente si intuiscono.

 

 

 

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