Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Alcuni cacciatori nella foresta uccidono un tapiro, lo smembrano e se ne dividono i pezzi. Poi arrivano i guerrieri di una tribù più evoluta: distruggono il villaggio, catturano i cacciatori, li portano nella città di pietra dove si compiono sacrifici umani. Alla fine sbarcano gli alieni, e tutti gli orrori visti fino a quel momento vengono ridimensionati in confronto a quelli che si stanno preparando. Nonostante la diffusa repulsione del pubblico per qualunque cosa rechi la firma di Mel Gibson, bisogna riconoscere onestamente che il film, muscolare e cruento, ha una certa barbarica eleganza. Certo, richiede uno stomaco robusto: il sangue scorre come fossimo al mattatoio, anche se poi (trattandosi pur sempre di una baracconata hollywoodiana) per far cicatrizzare una ferita da taglio basta un po’ di corteccia d’albero. Ma lo spettacolo è appassionante: tutta la seconda parte consiste in un’interminabile fuga la cui meta (sconosciuta agli inseguitori) è un pozzo in cui una donna e un bambino aspettano trepidanti, e l’ultima scena contiene una bella invenzione visiva. Colpisce soprattutto la visione della storia umana come un’immensa catena alimentare nella quale vengono divorate intere moltitudini di schiavi: tra pesci grandi e pesci piccoli il divario non è dato principalmente dal coraggio o dalla forza o dall’astuzia, ma dalla tecnologia.
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