Regia di Martin Campbell vedi scheda film
Il mito di James Bond rinasce in seguito alla vetta di bruttezza toccata dal ventesimo episodio della saga.
Dopo le tenebre, la luce: come una fenice, il mito di James Bond rinasce in seguito alla vetta di bruttezza toccata dal ventesimo episodio della saga, che aveva portato la EON Productions a mettere in standby l'avvenire del famoso personaggio. Ma l'acquisizione dei diritti del primo romanzo di Ian Fleming su 007 riapre la speranza. Grazie a un riavvio che azzera la continuity coi film precedenti e a un rimodernamento profondo, la spia dell'MI6 e il suo mondo appaiono svecchiati e calati nell'odierno: in Casino Royale, il giovane Bond è rude, libertino ed arrogante, quasi un antieroe. Meno spiritoso di Sean Connery e meno duro di Timothy Dalton, Daniel Craig è uno 007 con un aguzzo contorno psicologico, sempre più netto nel proseguo nella serie. La coesione narrativa non è stabilissima (Paul Haggis coadiuva i due sceneggiatori di La morte può attendere, Neal Purvis e Robert Wade), ma comunque il grande cinema è proprio dappertutto (il regista, Martin Campbell, è lo stesso di Goldeneye), con un sacco di spezzoni già cult (il tallonamento nel cantiere, la tortura, la partita con avvelenamento, l'abbraccio nella doccia). Judi Dench è ancora M, Q scompare (assenti gli apparecchi futuribili). Se il ruolo di Giancarlo Giannini non è determinante, la Vesper di Eva Green e il cattivo Mads Mikkelsen, asmatico e lacrimante sangue, sono straordinari.
Musiche di David Arnold, con brano di Chris Cornell (You Know My Name) sui bei titoli di testa.
BUON film (7) — Bollino GIALLO
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