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Casino Royale

Regia di Martin Campbell vedi scheda film

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La recensione su Casino Royale

di scapigliato
8 stelle

L’estetica è cambiata, non c’è che dire. Il fascino seduttivo dei film di Terence Young con Sean Connery s’è perso, e oggi sarebbero tacciati ignorantemente di manierismo. Il Bond 20 della serie è adrenalinico, uno spettacolo di ritmo e plasticità, con qualche rischio fotografico che però non fa male, e pochi gadgets e stavolta davvero utili. Daniel Craig, signori, è l’uomo del XXI° secolo. Acido, duro, cinico, corrosivo, spietato, scorretto, ma eticamente sano. E ricordiamoci che l’etica è una cosa, la bieca morale un’altra. L’etica la fa l’uomo nel suo svilupparsi come componente civile di una collettività, la morale la dettano le istituzioni, le leggi, le religioni e così via: non hanno nulla a che vedere con l’uomo. Il Bond di Craig è etico, non moralista. É spietato, non cattivo. È un duro, non un pezzo di ghiaccio. É James Bond, e non un doppio zero qualunque.
Nonostante la piacevole rivoluzione bondiana, il film di Martin Campbell (già alla prova con 007 in “Goldeneye”, bruttino) non può innamorare. Presto detto. A parte che il sottoscritto preferisce i dialoghi che le esplosioni, buone solo per chi ha pochezza di intenti e vive impastato alla play station, però dov’è finito il gusto di una vera storia di spie?, che come un buon noir è fatta di cinismo, malinconia, fatalismo e molto altro. Daniel Craig è azzeccatissimo, ma non sostituisce Sean Connery nell’immaginario bondiano, ma piuttosto Ursula Andress, quando esce dall’oceano in costumino succinto. Craig ha portato finalmente una ventata di novità. Il primo James Bond di Ian Fleming, da cui è tratto questo film, è un Bond che cinico lo diventa. È già un duro, ma con un cuore ancora inclinabile. Ha la non-chalance che fu di Connery, e non di Craig. Insomma siamo ancora lontani dal Bond creato dal suo autore in quel lontano 1952. Per esempio, la mitica scena della tortura, qui nel film è solo un attimino terrificante per noi maschietti che avvertiamo il dolore solo immaginandolo. Ma provate a leggervi il passaggio della tortura dalle pagine del romanzo di Fleming: tutta un’altra cosa. Sul film ci aveva messo gli occhi anche Quentin Tarantino. Con lui sì che avremmo gridato al capolavoro, ma la produzione cieca della Broccoli, da anni ormai detentrice dei diritti sul personaggio, non vuole rischiare. É già tanto aver scelto Daniel Craig, brutto, sporco e cattivo. Anche il cattivo Mads Mikkelsen non è affatto d’antologia. Un cattivo di poco spessore, lodato da chi crede ormai giunto il momento per elevare a supercattivi i banchieri e la gente comune. Invece contro Bond il cattivo deve essere eccentrico, particolare, deve insomma rubargli la scena. Certo, basta con i russi della guerra fredda, ma una vera storia di spie non sarebbe male. Paradossalmente, il cattivo più interessante è Mr. White, che avrà un incontro ravvicinato con James Bond a fine film. È lui che operando nell’ombra accende la nostra curiosità più nascosta verso il male. Aiutato dal doppiatore Oreste Rizzini, voce storica del viscido Michael Douglas, il Mr. White di questo Bond 20 è il cattivo più interessante. Mentre il più eccentrico è il comandante di colore che combatte contro 007 armato di machete. Se Sean Connery era il Bond spietato e con fascino, Daniel Craig è spietato e rude, senza quel fascino lussuoso tipico degli anni ’60. C’è chi dice, non a torto, che Sean Connery era lontano dal modello fleminghiano. Io invece considero Connery il miglior Bond originale, mentre il successivo Roger Moore lo vedo come una deformazione ironica della guerra fredda; il George Lazenby de “Al Servizio Segreto di sua Maestà” lo considero solo un’incidente di percorso; Timothy Dalton non pervenuto, mai visti i suoi film, ma la critica parla di un Bond “transitorio”, e comunque molto vicino al modello originale. Poi arriva Pierce Brosnan, a mio giudizio il Bond più vicino a quello di Connery, peccato che l’abbiano rovinato i filmacci a cui ha preso parte; comunque un Bond da soli “gadgets”. Invece con Daniel Craig si può dire che l’uomo medio del nuovo millennio abbia trovato un suo degno rappresentante, filtrato dal già mitico personaggio fleminghiano di James Bond.
Un capitolo a parte lo merita Eva Green, che insieme a Scarlett Johansson è l’unica vera “diva” cinematografica dopo la Kidman. Poche, pochissime attrici hanno l’eleganza classica delle “dive”. Eva Green, conturbante sorellina nel “The Dreamers” di Bertolucci (tanto conturbante che il fratello si sega davanti a lei che guarda impassibile insieme all’amico Michael Pitt), ha finalmente ricevuto il ruolo più importante, sia per il mercato che per la sua bellezza. Fatale, irrinunciabile. Chi non si innamorerebbe di Vesper Lynd? Io già me ne innamorai leggendo il romanzo di Ian Fleming, appunto “Casinò Royale”, quando si diceva che ad interpretarla sarebbe stata Angelina Jolie. Ma la Vesper di Eva Green supera molte altre Bond Girl sia per classe che per introspezione. Se la Diva Scarlett è eterea quanto impalpabile, la Diva Eva è tutta una pulsione che da materiale diventa cerebrale. A loro si accodano le migiori attrici del momento come Natalie Portman, più “concreta”, ma ugualmente dolce e da spaccare il cuore, oppure le “dive” televisive come Emily Van Camp, la bellissima, elegante, classica, interprete di “Everwood”, una Rita Hayword che deve ancora togliersi i guanti; e poi la celebre Veronica Mars, alias Kristen Bell, brava, bella e dallo sguardo bastonato che basta a incastonarla nell’immaginario delle donne fatali. Anche l’attrice di colore Zoe Saldana, vista in “Indovina chi...?”, con Ashton Kutcher, ha il fascino e la bravura di chi sa rubare il cuore senza farsene una colpa. Tra tutte queste dive, ecco che Eva Green prende al volo il ruolo di una vita, si eleva e vola alta su tutte loro. Per molto o per poco, lo deciderà il mercato. Ma per chi sa amare e riconoscere il vero talento e la vera bellezza, non quella da copertina, Eva Green volerà alta per sempre.
In conclusione, promossi: Daniel Craig, Eva Green, Caterina Murino, il regista Martin Campbell e il Mr. White doppiato da Rizzini. Bocciati invece: Mads Mikkelsen, Giancarlo Giannini (ahinoi), la troppa adrenalina che stanca e l’operazione globale del film.

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