Regia di Susanne Bier vedi scheda film
Il percorso artistico di Susanne Bier è fatto di pellicole dagli intensi sentimenti, con una predilizione verso l'importanza della famiglia: il suo non è certo romanticismo spicciolo, ma è una forte emozione che può far scendere una lacrima anche al più duro di cuore.
In particolar modo in questo film, la Bier pone tutti gli elementi che l'hanno resa una delle registe scandinave più attualmente conosciute e apprezzate.
Una trama ricca di colpi di scena, tanto che già nei minuti iniziali, avvengono le prime vicissitudini che sconvolgono la vita di una famiglia benestante. "Ci sono un po' troppe coincidenze" affermerà Jacob giustamente, visto che tutto ciò che avviene non è un semplice capriccio del destino, ma un complesso piano di un manipolatore affettivo.
Sì perchè se Jacob è il protagonista, JØrgen è l'artefice di tutti gli ingannevoli snodi narrativi: con un'offerta che non si può rifiutare, incatenerà Jacob ai dei doveri imprescindibili, più importanti di qualsiasi operazione filantropica. I doveri di un padre.
Il ricco imprenditore è paradossale, quasi idilliaco, eppure quest'uomo che gioca a fare dio travolge ed emoziona nel suo tentativo di sopravvivere all'ineluttabile destino che lo sovrasta; la sua generosità è più mossa dall'orgoglio vitale che da un sentimento altruista, ma è proprio questa peculiarietà umana a renderlo commovente ai nostri occhi. Sarà proprio questo suo lato, espresso in un urlo, un "non voglio morire!" straziante, che malgrado tutti i piani calcolatori, mette in luce l'impotenza di questo magnate dallo sfuggire alla sua sorte.
La Bier si specchia in JØrgen, accogliendo il suo punto di vista, che verrà trasmesso, dopo innumerevoli atti, in Jacob: come il suo finanziatore, si sacrificherà per il bene della famiglia; una responsabilità difficile, a cui non ci si può sottrarre impietosamente. Lo si vede chiaramente nel timido incontro tra Jacob e Anna: un padre e una figlia ritrovati, che proprio come un sasso lanciato in uno stagno, sconvolge l'immobile superficie delle proprie anime in onde di amore paterno.
Salda ai valori iniziali di evitare effetti speciali e virtuosismi, la Bier segue le vicende dei suoi personaggi quasi sempre con la camera in mano, attraverso riprese simil-dogma 95: un'ottima scelta, visto che con i suoi primissimi piani si possono vedere i volti, specchio dell'anima, di queste persone; non solo, la cinepresa che trema nervosamente assieme al suo stile aggirante, dà la giusta idea di sentimenti pronti a esplodere e frasi non dette, rendendo l'intero lungometraggio più intenso e complesso.
A dare credibilità alla personalità degli interpreti ripresi da così vicino, vi sono i volti di Mads Mikkelsen con una profondità di sguardi non indifferente, e Rolf LassgÅrd, con occhi spenti e un sorriso finto che incornicia sempre quel viso simile ad una maschera, pronta a sgretolarsi nei momenti più drammatici. Sono sicuramente loro che conquistano maggiormente la scena, con una nota di merito anche a Stine Fischer Christensen che riporta deliziosamente sullo schermo l'affetto e la fiducia che intercorre col padre biologico.
Il film conquista certamente, ma col rischio di sembrare cinico è impossibile non ammettere che la Bier punti davvero troppo nel confermare una sua tesi, tralasciando così l'oggettività: sembra giustificare il ricatto verso Jacob, a cui debba forzatamente accondiscendere senza poter trovare una migliore alternativa. I valori familiari sono senz'altro importanti, ma qui, la regista, sembra quasi affetta da conservatorismo.
Il carosello di emozioni, oltretutto, alla lunga stanca: nella seconda metà appare come un dramma forzato e volutamente strappalacrime, con scelte di sceneggiatura che erano perfettamente evitabili. Una sceneggiatura, che cade troppe volte sul sentimento facile, facendo appiglio ai soliti clichè piagnucolosi quali malattie incurabili, tradimenti coniugali e così via.
Stessa cosa fanno le musiche di Johan Söderqvist: una colonna sonora costantemente struggente, in modo da far sgorgare più lacrime possibili con sviolinate e delicati colpi di pianoforte.
Questo tripudio di sentimenti è sicuramente ben inscenato, raffinato, ma soprattutto di un'umanità che è difficile trovare in altri lungometraggi. Delude quando il procedere della trama fa esclusivamente affidamento sulle lacrime e su un risvolto della trama presentato in maniera semplicistica, che non giunge inaspettato.
Toccante e sobrio è sicuramente uno dei migliori esempi di melodramma nordico.
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