Regia di Susanne Bier vedi scheda film
‘Cum movere’... I nostri padri latini avevano chiara percezione di ciò che può agitare l’animo. Forse questo qualcosa sta riposto lì, tra le pieghe di un senso agnostico dell’essere e di un segno liturgico del corpo. Parola e lacrima. La prima pare affermare cognizione ma, spesso, è il margine vocale di una fragilità. Un rumore pieno, ma ‘vuoto’ di accettazione. Si deve dire per capire e poi, magari, sopportare. La seconda scende sul viso perché invece si sono apprese le cose della vita. E’ un silenzio vuoto, ma ‘pieno’ di consapevolezza. Si piange perché abbiamo pesato tutto sulla bilancia dell’avere e dell’essere. Parole e lacrima ci accompagnano, per gradi, verso un cambiamento. Il turbamento è assicurato. Questo film della Bier, questo suo piccolo grande capolavoro fatto di parola e di lacrima – per l’appunto, mica fino ad ora si è ciurlato nel manico! – pare volerci spingere ad una considerazione: la felicità più che assenza di dolore è ciò che ci resta di lieto dopo che il male ha tagliato via quel che reclamava. E questo film nei suoi 100 e passa minuti è un po’ di questo e un po’ di quella, avanza ondivago tra parole e lacrime. A volte raggiungendo il cuore e altre sfocando, come aggiungerà qualcuno che trova il cinema della regista danese da sempre irrisolto. Chi lo sa? In ogni caso, ‘cum move’...
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