Regia di Susanne Bier vedi scheda film
L'opera della maturità della Bier, la terza scritta insieme ad Anders Thomas Jensen e la conferma - se ce ne fosse stato bisogno - della statura del protagonista Mads Mikkelsen, già chiamato dalla regista per Open hearts del 2002. Una trama cervellotica che colpisce per la quantità e qualità dei dettagli tessuti efficacemente insieme, primissimi piani di esistenze superficialmente stabili, compiute, ma in profondità logorate da un malessere che risiede in un passato sepolto troppo frettolosamente. E pronto a riemergere proprio quando è il futuro a farsi avanti minaccioso. La Bier sceglie di rendere questa vasta sfaccettatura, questa frammentarietà degli stati d'animo dei personaggi con un frequente utilizzo del particolare, inquadrando soprattutto gli occhi (uno alla volta, spesso) dei personaggi; la visione è fondamentale, ci suggerisce la regista, ma occorre che sia una visione d'insieme e di profondità (di tempo e campo), come quella di Jorgen, colui che architetta l'arzigogolato piano raccontato nella prima parte del film. Jorgen proietta il suo mondo oltre sè stesso, cioè a quando lui non ci sarà più, e così facendo 'vede' il suo posto rilevato da Jacob, che è d'altronde il miglior pretendente immaginabile. I luoghi comuni del cinema della regista danese ci sono tutti: la coppia a pezzi, la distanza fisica come fuga dai problemi e perciò distanza mentale, il terzo incomodo, le apparenze che ingannano e via dicendo; nomination per l'Oscar 2007, produce la Zentropa di Von Trier (il cui montaggio nervoso e iperrealista continua a influenzare la Bier ancora nel 2006) e Peter A. Jensen. 6,5/10.
Missionario in India, Jacob viene richiamato in Danimarca da Jorgen, un industriale disposto a donare una grossa somma ai bambini della sua comunità. Jorgen introduce pian piano Jacob nella sua vita e le affinità fra i due si scoprono fortissime...
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta