Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Nolan lo dice fin dall’inizio: “Osservate attentamente”. Tanto, è sottinteso, per quanto vi sforziate resterà sempre, anche dopo la fine, il dubbio di aver capito veramente tutto ciò che avete visto. Come già Memento, il film gioca con lo spettatore (lo manipola, secondo i detrattori): quello lo metteva nella stessa condizione del protagonista, vittima di vuoti di memoria; questo lo fa assistere a un gioco di prestigio in cui il pubblico vuole essere ingannato, vuole vedere ciò che gli si chiede di vedere. Caine lo ripete più volte, che Borden ha un sosia; la moglie gli dice “certi giorni mi ami, certi giorni no” e gli medica una ferita già chiusa e stranamente riaperta a distanza di pochi giorni; la bambina gli ricorda che le aveva promesso di portarla allo zoo, lui non ne sa niente ma affida l’incarico all’aiutante (un aiutante bravissimo a non far notare che non parla mai). La verità è lì a portata di mano, ma ci ostiniamo a non crederci: ci sembra inconcepibile, mostruoso, disumano che ci si possa volontariamente mutilare due dita della mano per reggere la propria parte nella vita, quella di sosia. Ecco il punto, la disumanizzazione: all’inizio i protagonisti sono persone normali; entusiasti, certo, desiderosi di apprendere i segreti del mestiere e primeggiare, ma normali, umani. Poi c’è una morte accidentale (per inciso: la toccante scena dell’annegamento di Piper Perabo mi sembra la risposta migliore a chi accusa Nolan di essere solo un freddo formalista), la volontà di vendicarsi, una serie di ripicche sempre più crudeli che sfumano e si confondono con la ricerca di una verità inafferrabile. Una versione intellettuale e allucinata de I duellanti, in cui ciascuno diventa preda delle proprie ossessioni, mostra un’abnegazione sempre più assoluta e perde passo dopo passo la propria umanità; e intanto Caine osserva tutto, precario e perplesso ago della bilancia. Il gioco dei rispecchiamenti reciproci è fin troppo insistito ma non disturba, affascina: ognuno dei due a un certo punto legge le memorie dell’altro, in cui l’altro parla di lui e mostra di sapere che le sta leggendo; e, siccome “a nessuno importa dell’uomo nella botola” (commento che si applica ai trucchi di Angier come all’impiccagione di Borden), il finale potrebbe essere rovesciato senza che nulla cambi: saremmo sempre lì ad applaudire l’uomo che riappare, chiunque sia. È il tipico film che richiede almeno una seconda visione, tale è la sua complessità; ma è una complessità non gratuita, non fine a sé stessa, e per questo va ammirata. Ed è un film che commuove, perché dice a voce alta che il cinema non è morto, che persino in un immaginario ormai desolatamente blockbusterizzato come quello della Hollywood attuale può ancora nascere un capolavoro.
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