Regia di Mario Bianchi vedi scheda film
Nonostante il titolo a sensazione che sfrutta il richiamo delle gesta del "bel René", il film non si discosta dai canoni tipici del poliziesco ed è più interessante come saggio delle scarse doti registiche di Mario Bianchi e per l'assurdità di situazioni, inquadrature e dialoghi.
Titolo sensazionalistico per una vicenda che ricalca solo vagamente le gesta del “bel René” e che mostra un nutrito repertorio di violenze sfrenate e scene di sesso piuttosto sordide. Mario Bianchi, noto soprattutto per una raffica di pellicole pornografiche dai titoli deliranti, dà qui un saggio delle sue modestissime doti registiche, presentando situazioni e dialoghi assurdi che a volte sconfinano nella comicità involontaria (si veda l’incipit con i colloqui in carcere), girando con una tecnica sciatta (in una scena la camminata del protagonista – il rozzo Pulcrano – lungo un viale è impallata da un segnale stradale in primissimo piano) e con scelte stilistiche autolesioniste (si veda l’incredibile sequenza del rally in Sicilia con le dichiarazioni del bandito in sottofondo). Eppure, malgrado l’evidente inadeguatezza di regia, sceneggiatura e recitazione, il film merita un po’ più della votazione minima, perché riesce a non annoiare e Bianchi riesce ad azzeccare alcuni volti (definire attori Antonella Dogan e Franco Garofalo richiede una certa dose di ottimismo) e a infilare nel copione una battuta quasi intelligente (un poliziotto commenta un massacro dicendo: “Ormai stiamo al Sudamerica”. E l’Italia di allora un po’ sudamericana lo era).
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