Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Questo film è un rabbioso ritratto al femminile del Giappone del dopoguerra: un paese che respira ormai a pieni polmoni il vento spirante da occidente, eppure vede la donna ancora imprigionata in una condizione di umiliante inferiorità. Moglie, mantenuta o lucciola: queste sono per lei le uniche possibilità, dal momento che ogni autonomia le è preclusa. Tuttavia la battaglia di emancipazione è portata avanti da voci solitarie, dato che nella maggioranza prevale una dura forma di connivenza con l'oppressore, certo dettata da un primitivo istinto di sopravvivenza, sostenuto, per altro, dalla rigidità delle strutture sociali. La tradizione è il nemico da combattere: un mostro proteiforme, che cerca di adattarsi perfino al radicale cambiamento delle mode, trasferendo sulle strade, e dentro abiti moderni, il degradante fenomeno che un tempo vestiva il kimono nella clausura delle case da tè. Così la geisha è diventata danzatrice in un night club, o svolge il duplice servizio di segretaria e concubina. Per sfuggire a questi ruoli predeterminati, che negano ogni diritto alla libertà ed alla dignità personale, la vedova Oowada deve lottare letteralmente con le unghie e con i denti, come quando scavalca il filo spinato per evadere da una degenza forzata, o si difende dalle percosse delle altre prostitute che vorrebbero impedirle di abbandonare il mestiere. La protagonista non è, però, un'eroina nel senso classico del termine, non è la coraggiosa paladina di un'idea: come Michiko ne "La signora di Musashino", ne "Le donne della notte" la giovane Fusako è, semplicemente, affetta dallo struggimento prodotto dall'onestà interiore, che la induce ad agire coerentemente col proprio sentire, a dispetto delle imposizioni di un mondo esterno freddo ed avverso.
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