Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
"Tutte le donne che saranno sorprese in questo quartiere a camminare di notte saranno considerate come prostitute ed arrestate" avverte il cartello posto all'ingresso del quartiere del cosiddetto "piacere" di Osaka. Questo sarà il destino delle tre protagoniste del film, donne nel Giappone del dopobomba, destinate ad essere schiacciate dalla modernizzazione. La loro sembra una pulsione all'autodistruzione, perché tutti sanno - loro per prime - che le donne del nuovo Giappone dovranno essere diverse: dovranno sapersi emancipare e lottare per il proprio futuro, anziché abbandonarsi alla protezione di un uomo più o meno ricco, o annullarsi e degradarsi in un'esistenza di prostituzione che può condurre soltanto ad una vita di miserie, malattie ed aborti. Mizoguchi comincia a raccontarci questa storia moderna (i suoi capolavori più noti sono tutti film in costume) con stile neorealista, simile a quello dei coevi film di Kurosawa come "Cane randagio" e "L'angelo ubriaco", ma non disdegna mai di contaminarlo con elementi provenienti dall'espressionismo, accentuati da primi piani o costruzioni geometriche dell'inquadratura, che spesso riescono a descrivere bene l'impotenza dei personaggi rispetto al compito che si sentono affidato. In altri momenti il regista inserisce nel film elementi provenienti dal cinema americano, come un montaggio spesso serrato (nei film più famosi di Mizoguchi c'è invece una prevalenza del piano sequenza, o comunque dell'inquadratura senza stacchi) o un linguaggio, nei dialoghi, talmente libero che sarebbe stato impensabile in un contemporaneo film italiano. Non mancano le scene di violenza più che accennato e talvolta sadica, come la fustigazione finale di Husako, anche se la scena di violenza sessuale subita dalla giovane Kumiko è stata pudicamente lasciata dietro a uno scaffale della squallida stanza di una bettola. Il regista, anche per le vicende personali (per difficoltà economiche, i genitori vendettero sua sorella a una casa di geisha) rivolge, con questo film, un appello alle donne giapponesi (suoi personaggi prediletti), perché rifiutino il ruolo subalterno che la società nipponica ha loro attribuito attraverso i secoli, ma dà anche un giudizio nettamente negativo sul mondo maschile, salvo poche eccezioni (come il medico del centro di recupero delle prostitute) meschino e vigliaccamente teso allo sfruttamento delle donne, rimaste abbandonate dalla carneficina di uomini che era stata la guerra iniziata con Pearl Harbor. La difficoltà di trovare un finale plausibile, che non fosse semplicemente edificante, influenza un po' il giudizio complessivo sul film, che è comunque riuscito, nonostante che Mizoguchi si trovi più a suo agio tra i kimono delle epoche passate.
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