Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Bellissimo davvero. Un film violento, che all'epoca deve aver causato almeno qualche imbarazzo (se non censure) fra i benpensanti nipponici, più o meno come il coevo "Ladri Di Biciclette" del nostro De Sica. Come nel neorealismo italiano, anche in questa opera di Mizoguchi possiamo toccare con mano, senza alcuna mistificazione, quella che era la miseria materiale (e di conseguenza) morale dell'immediato dopoguerra. Una situazione di povertà estrema, appena attutita da iniziative di beneficenza organizzata e da una sporadica solidarietà femminile, spesso condizionata da quelle logiche di appartenenza tipiche delle gang; un'indigenza che non può far altro che indurre alla devianza, alla corruzione, alla prostituzione. E a farne le spese, ovviamente, è il genere femminile, da sempre succube dell'arroganza di un Potere tutto maschile. Film eternamente attuale, in anticipo sui tempi tanto da qualificarsi, a mio parere, come "proto-femminista" (alcuni discorsi delle donne in questo film sono espliciti nell'incitare il genere femminile a prendere coscienza della propria condizione subalterna al maschile e a costruirsi la propria indipendenza). La ragazzina che scappa di casa e si scontra con la legge dei bassifondi è una figura di straordinaria modernità. Così come le complesse riflessioni su maternità ed aborto si ripresentano puntualmente in tanti film contemporanei (pensiamo ad esempio al "Matrimonio di Lorna" dei Dardenne). Lo sguardo di Mizoguchi non si limita tuttavia ad un anonimo realismo, ma contiene già alcuni elementi che torneranno nei suoi acclamati capolavori degli anni 50 (come Vita di O-Haru): l'utilizzo della profondità di campo nel disporre i personaggi impegnati in un dialogo; i carrelli esplorativi/contemplativi che delineano lo spazio scenico secondo traiettorie diagonali; le inquadrature fisse con la mdp posizionata ad altezza medio-alta, un po' spostate su un lato (in netto contrasto con la mdp rasoterra di Ozu).
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