Regia di Jonathan Liebesman vedi scheda film
Uno spunto. Thomas Hewitt, dopo un'adolescenza da macellaio freak vissuta in una famiglia di sadici assassini, diventa Leatherface indossando la pelle della faccia di un giovane guerrafondaio in procinto di ripartire per il Vietnam. Siamo nel 1969, e di lì a poco sarebbero accaduti gli eventi che tutti conosciamo, quelli messi in scena nel 1974 da Tobe Hooper (qui tra i produttori assieme a Michael Bay). Capito? Questo prequel di Jonathan Liebesman è senza luce, e non è un horror, è un film di guerra, la giusta anticamera all'orrore socio-familiare di tutti i Seventies, lamento funebre per una chiamata che è alle armi ma soprattutto alla morte. È di certo un inizio: della fine, del sangue ufficializzato, dello smembramento promosso, dei generali patriottici e della paranoia (da reduce o no: tanto siamo tutti "reduci") generalizzata. Non si salva nessuno, nemmeno chi non vuole partecipare alla guerra ed è torturato come un vigliacco. Il nuovo Non aprite quella porta è più contemporaneo di quello che si potrebbe pensare, e dunque finanche necessario. Cupissimo, di violenza sovente insostenibile senza esagerare nel gore, migliore del già interessante remake di Marcus Nispel.
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