Regia di Alberto Sordi vedi scheda film
La tematica di Io so che tu sai che io so era di partenza interessante. L'utilizzo che Sordi fa del materiale che si ritrova per le mani, però, non è adeguato. Banalizza il problema della droga in una maniera che lascia esterrefatti, ma forse l'obiettivo della sceneggiatura era proprio quello di far vedere un uomo di mezz'età (è il Sordi attore che probabilmente era già troppo anziano per la parte) che non capisce i problemi che gli girano intorno. È emblematico che di tutti i problemi che piombano addosso al povero dottor Bonetti questi si renda contro attraverso i filmini girati con tecnica malferma dal detective privato. Ed è significativo che Sordi si ritrovi inchiodato alla poltrona - quasi come la sua vittima in Un borghese piccolo piccolo - costretto da una forza invisibile a guardarsi e a commentare da solo i buchi della figlia, i tradimenti della moglie, le proprie piccinerie (la partita di recupero Roma - Catanzaro). Purtroppo, Sordi banalizza i problemi dell'Italia d'inizio anni '80, con superficiali critiche alla TV («maledetta televisione, che ci impedisce di comunicare!») ed inviti ad un volemose bene di maniera (la Vitti: «sì, andiamo al cinema: è tanto che non mi ci porti»). Sordi, comunque, farà assai di peggio qualche anno dopo con Il tassinaro.
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