Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Due ipotesi per cui le 'rose del deserto' sono i soldati italiani in Libia. Perchè, come le pietre levigate dal vento, sono sottoposti ad incessante logorio senza potersi opporre in alcun modo; in maniera più poetica invece si possono intendere 'rose', cioè belle e rigogliose promesse (giovani, sani e valorosi), che nel deserto finiscono inevitabilmente per soccombere. L'impresa sciagurata delle conquiste africane del fascismo è solo la base del racconto; c'è costruita sopra una storia fatta di tante facce, tanti caratteri, tante emozioni ed un'unica sensazione di presa in giro; Monicelli in Libia ci andò davvero (come il conterraneo Tobino del resto, autore del romanzo da cui è tratto il film) e pare sensato credere che questo film sia dedicato appunto alle 'rose' abbandonate nel deserto, ovverosia le vite, le speranze dei commilitoni, degli amici, dei compagni di sventura che, purtroppo, dalla Libia non tornarono come i due viareggini. Chi vede tutto ciò in questo film non può rimanere impassibile di fronte ai momenti talvolta commoventi fino allo straziante (il matrimonio per procura del soldato sepolto o l'abbandono del maggiore che vive per la propria moglie in patria, quando la viene a sapere morta). Mettere in scena una commedia all'italiana (perchè è questo lo spirito de Le rose del deserto) nel 2006 è impossibile per un solo, semplicissimo motivo: ne mancano i protagonisti. E questo, sia chiaro, nonostante qui il cast veda impegnata una serie di ottimi attori (bravissimo Placido): ma non ci sono più i Sordi o i Tognazzi o i Gassman che possono reggere l'intera storia da soli. Amen. Il paragone con lo Scemo di guerra (tratto dallo stesso libro) di Risi finisce per risultare impietosamente a favore di Monicelli. Questo è un film di una poetica lievissima, profumata di nostalgia ed intensa come ben pochi registi italiani sanno ancora fare nel 2006: qualcuno vuole mettere in discussione le capacità del novantunenne Monicelli?
Un reparto medico dell'esercito italiano partecipa alla guerra di Libia, nel 1940. Il morale è altissimo e la fede nel Duce incrollabile: ha promesso che la guerra durerà poco e ci si potrà presto sedere al tavolo dei vincitori assecondando i trionfi dei tedeschi con qualche battaglia in Africa. Ma in realtà le cose non vanno così: giorno per giorno si susseguono bombardamenti, sventure, morti e pessime notizie da casa; per i soldati-medici la disperazione prende il posto della fiducia. Fino alla ritirata.
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