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Lunghi addii

Regia di Kira Muratova vedi scheda film

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La recensione su Lunghi addii

di Baliverna
6 stelle

Quando il cinema russo-sovietico voleva troppo imitare ciò che proveniva dall'estero i risultati non erano così soddisfacenti come avrebbero potuto.

Si tratta di una pellicola volutamente “anti-narrativa”, se così posso dire, che non racconta quasi niente, ma descrive situazioni e personaggi. Il rifiuto di una trama vera e propria si accompagna al fatto che essa è fortemente ispirata alla nouvelle vague francese, e in qualche momento a quella cecoslovacca (Vera Chytilova), alla quale si rifà per certi giochi di immagini.

In generale, il film descrive la vita grama e insoddisfacente di una madre con il figlio adolescente, mentre l'assenza del padre-marito pesa come un macigno su entrambi. Per di più, pare che l'uomo se ne sia andato di casa volontariamente. La donna è una persona piuttosto frustrata e triste, la quale cerca di nascondere queste sue piaghe con un'allegria artificiosa, lunghi discorsi inconcludenti, e rapporti superficiali con amici e colleghi. Ma in certe sere, dopo qualche bicchiere, la verità viene fuori, assieme a qualche lacrima. È inoltre gelosa delle amicizie femminili del figlio, il quale ha qualche qualche banale tresca con ragazze della sua età, le quali sono intrigate dalla sua apatia e imperturbabilità. Egli infatti conserva questo atteggiamento in tutte le situazioni, in modo quasi ostinato, mentre nessun avvenimento sembra toccarlo veramente. Se non, va precisato, le telefonate con il padre lontano....

La Muratova indugia ad inquadrare gli attori, spesso con primi piani, e diverse volte lo fa con lo zoom da lontano. Di contro, è poco interessata agli ambienti, sia nel senso che non ce li mostra troppo bene, che nel senso che a volte non si capisce bene dove si svolga l'azione. Si tratta evidentemente della città di Odessa (nel cui omonimo studio il film fu prodotto), ma poi si mostrano indistintamente luoghi di villeggiatura al mare (in inverno), scorci cittadini, l'ufficio dove lavora la madre, luoghi di dopo-lavoro. Tutto questo però dobbiamo più che altro dedurlo. A questo proposito, devo dire che questa poca cura nell'ambientazione mi ha pesato un po' sulla visione, perché a me piace vedere bene i luoghi, e apprezzo molto dove essi vengono valorizzati dal regista.

Altri difetti sono secondo me il monologo e piano-sequenza dell'ultima parte (che puzza troppo di teatro e Kammerspiel) e il già citato rifiuto di una trama e di un vero centro del film. In molti passi la pellicola mi è sembrata sfilacciata e stagnante. In altri no, e magari a tratti persino poetica. Per il resto, si nota molta attenzione nelle inquadrature e nel montaggio, i quali non peccano certo di poca fantasia (la nouvelle vague!).

In generale si guarda abbastanza volentieri, con un pizzico di buona volontà, e un... pizzicotto a se stessi nel monologo della madre in piano-sequenza (a lato dell'inquadratura...).

 

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