Regia di Marcello Andrei vedi scheda film
Il tempo degli assassini è l'Arancia meccanica "de noantri", del grezzo e miserrimo cinema italiano degli anni Settanta; paragone esagerato? In termini concettuali, assolutamente no: perchè lo scopo di entrambi i lavori è pressappoco il medesimo, e cioè quello di mostrare come e quanto il crimine, nei nostri giorni moralmente corrotti, possa apparire redditizio, facile e privo di controindicazioni nelle giovani generazioni. Sfrontato e incosciente Alex del film di Kubrick, sfrontato e incosciente Piero di questa pellicola: la forsennata spirale di crimine, violenza e morte in cui entrambi si introducono consapevolmente e volontariamente è la stessa, è soltanto una maniera di evadere dalla noia, dalla famiglia, dagli schemi precostituiti, facendo leva sull'esuberanza della gioventù. Detto questo, chiaramente ritorniamo però sulla Terra: il film di Andrei è girato piuttosto maluccio e scritto in maniera approssimativa (in sceneggiatura oltre al regista ci sono Piero Regnoli e Alvaro Barizio: non proprio una garanzia), ma può perlomeno contare su un poker di interpreti di una certa fama: Martin Balsam, Magali Noel, Rossano Brazzi e Joe Dallessandro. Quest'ultimo non vale neppure un decimo, sul piano recitativo, degli altri tre, ma viveva in quel periodo una grande popolarità anche grazie alla spinta di un certo Andy Warhol. Tralasciando quindi la resa estetica in sè, il film trova ragione di esistere nel motivo sottinteso di critica sociale di cui si accennava sopra: non è poco di per sè, e non è poco alla luce delle produzioni sbrigative e povere di contenuti che venivano senza posa licenziate in quegli anni dal nostro cinema. 3/10.
Un manipolo di giovinastri romani, di povera ma onesta famiglia, si dedica a rapine e violenze con spensierato accanimento. Un commissario è sulle loro tracce e ha intenzione di farla pagare cara a tutti.
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