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L'urlo del silenzio

Regia di Robert Ellis Miller vedi scheda film

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La recensione su L'urlo del silenzio

di OGM
8 stelle

Per la sua interpretazione del ruolo del sordomuto John Singer, Alan Arkin arrivò a un passo dall’Oscar. Il cuore è un cacciatore solitario: questo è il titolo originale del film,  e del romanzo di Carson McCullers da cui è stato tratto. Una storia che, come tante altre, racconta il modo in cui, attraversando la sofferenza, si giunga a trovare la propria strada nella vita. Oppure a perdersi nella disperazione. Il dramma è accorgersi troppo tardi quanto imperdonabile sia l’errore di tacere per paura. Di impedire al sentimento di esprimersi liberamente, a prescindere da tutto il resto. John, che pure non può articolare parola, è l’unico, in questa vicenda di odio e di amore, ad avere il coraggio di parlare, sempre e comunque, di farsi avanti e manifestare il suo pensiero, di venire incontro al prossimo quando questo ha bisogno di sostegno o di consolazione. John è quello che oggi chiameremmo un diversamente abile, ma intorno a lui il mondo è pieno di persone che sono affette da qualche menomazione, meno visibile, forse, ma non per questo meno grave. Le malattie sono la solitudine, la miseria,  la discriminazione, il pregiudizio, in una società americana non ancora investita dall’ondata delle battaglie libertarie.  Il mondo è diviso in bianchi e neri, in ricchi e poveri, in normali ed anormali, la segregazione è innanzitutto nelle menti, e fa inceppare il meccanismo dei rapporti umani. Il suono della voce non riesce a penetrare le barriere delle inibizioni, e rimane confinato negli angoli segreti dell’animo, dove si sedimenta il rancore. Solo John, che comunica unicamente a gesti, agitando le mani per richiamare l’attenzione, per supplicare, per farsi capire, arriva a farsi strada in mezzo a quell’atmosfera densa di ipocrisia e menzogna. Il suo emblematico esempio fornisce la prova  che nulla è impossibile, se perfino il silenzio può rendersi udibile fino a diventare un grido; e  se, pur non conoscendo il significato della parola musica,  si può condividere, con la persona amata, la bellezza di una sinfonia di Mozart. Stare insieme ed essere sinceri, lasciandosi trasportare dalla spontaneità, è la misteriosa alchimia che frantuma il muro dell’incomprensione anche quando, a prima vista, non esiste, concretamente, una base comune su cui impostare il dialogo. A rovinare l’armonia è la volontà/necessità di nascondere all’altro una parte di sé: quella che è più debole e insicura, e quindi ha timore di esporsi. Una madre non è in grado di  dimostrare il proprio affetto nei confronti della figlia, un medico non vuole rivelare ai suoi pazienti la sua malattia, una ragazzina non osa dichiarare la propria passione per un uomo maturo. Il terrore, provato da tutti nei confronti della verità del cuore, frena ogni individuo, isolandolo nell’incapacità di cercare conforto e chiedere aiuto, e ponendolo nella triste condizione di continuare a sbagliare. Il loquace mutismo di John attraversa la storia come un pennellata di semplice serenità, in un ambiente frastornato dallo strepito della collera ed assordato dallo stridore della stupidità. L’umanità è immersa nel fragore dei fuochi d’artificio, delle giostre del lunapark, degli urli di una rissa. Invece, a meritare ascolto, sarebbero solo i bisbigli d’amore e le melodie di un concerto: una saggezza che l’adolescente Mick, di sfuggita, intravede, giusto un attimo prima di diventare una donna. Una saggezza che però, come le frasi che John disegna nel vuoto, la sfiora come un refolo d’aria, e subito le scivola via tra le dita.   Questo film combina il realismo del dolore con l’adagio della reticenza, diluito nella frustrante mediocrità della vita; la sua sostanza è l’amarezza ritratta alla luce del giorno, dove le ordinarie ingiustizie avvengono, sotto gli occhi di tutti, e – loro sì – senza mostrare alcun pudore.

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