Regia di Ugo Tognazzi vedi scheda film
Quinto e ultimo film diretto da Ugo Tognazzi nell'arco di quasi vent’anni intervallati dalle interpretazioni in una miriade di pellicole che lo hanno imposto come una dei volti essenziali dell'epoca del grande cinema italiano. Se però Tognazzi nel corso del tempo ha indossato una maschera che incarnava determinate caratteristiche le quali gli permettevano grazie alla sua straordinaria bravura e personalità di interpretare efficacemente qualsiasi personaggio segnandone gli squilibri e le qualità, comprese quelle mancate, come regista si evidenzia in questo suo ultimo lavoro come abbia dimostrato di trovare ispirazione e insegnamento dai grandi registi che lo hanno diretto, in particolare da Marco Ferreri, talentuoso, provocatore, mai abbastanza compreso. E da lui ha assorbito la progressiva distanza dal mondo, la disillusione, la voracità sentimentale del provvisorio, l'impietosa assenza di benevolenza. Tratto da un romanzo di Umberto Simonetta, I viaggiatori della sera potrebbe ricalcare il classico filone distopico, ambientato in un futuro abbastanza prossimo, una coppia attempata vicino alla pensione viene accompagnata dai figli in una struttura apposita per anziani dove fra feste e lussuosi bagordi vengono indotti a partire obbligatoriamente per una vacanza dalla quale però nessuno ha mai fatto ritorno. Tutto si svolge nel nome delle giovani generazioni al potere, preoccupate di sostituire i nuovi valori e un nuovo ordine sociale a quel disordine morale e culturale simboleggiato dalla coppia moderna che Nicky e Orso incarnano ancora. Lo scenario è quello delle isole Canarie che di fatto evoca un ambiente stilizzato e amorfo. Movimenti e azioni che riportano ad una delle prime serie tv di successo degli anni sessanta di marca britannica, il fantascientifico Il prigioniero, vero e proprio totem della controcultura avversa al potere. Tognazzi regista però è uguale al Tognazzi attore, alla sua maschera umana, troppo interessato alla decadenza individuale che non ad una fantomatica denuncia verso il futuro. Nello stesso gruppo degli anziani ospiti si distingue, emerge la sua diversità esistenziale, già compromessa, svilita e attonita, individualista fino all'osso. Nonostante il suo prodigarsi perché affatto contento della situazione, emerge come in tutti i suoi film e nei suoi ruoli, una passività inevitabile, una consapevolezza malinconica che gli regala solo pochi attimi di sollievo a dispetto dell’innata vis comica e grottesca. Il limite forse più evidente di una mano registica non troppo attenta, lo si coglie nella datazione dei personaggi, forse un po’ troppo legati e iconograficamente rappresentati attraverso le innovazioni del costume e della morale degli anni 70 che a lungo andare riducono di parecchio il presunto conflitto generazionale. Ma a Tognazzi forse interessa poco, gestisce il suo personaggio sempre in bilico fra il passato e il futuro, in ogni caso incapace di sostenere adeguatamente la sua condizione presente. Nicky e Orso interpretati da una sorprendente Ornella Vanoni e da Tognazzi stesso, diventano testimoni di una generazione che non ha più riferimenti e speranze, senza appigli costretta a collettivizzare non solo i sentimenti ma anche il proprio destino. Inaspettatamente riuscire a dare significato alla loro coppia, ridefinirà drammaticamente il tempo che scorre, l’inevitabile voragine della fine, il conflitto fra rigidità morali e lassismi libertari che al di fuori di loro stessi assumono la veste di regole insensate di pura sopravvivenza. Il finale è pura apologia “ferreriana” unito all’irrinunciabile sarcasmo di Tognazzi, a quello che definì nel sublime gesto di complicità con il giornale di satira politica Il male, il diritto alla cazzata.
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