Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Un cadavere subito dopo i titoli di testa, e un uomo in tonaca che si allontana furtivo: il film più segnato dall’educazione cattolica ricevuta da Hitchcock mette subito le carte in tavola. Il dilemma è da manuale di casistica: un sacerdote non può svelare il segreto della confessione, neanche per denunciare il colpevole di un omicidio. Ma la situazione si complica ben al di là del punto di partenza: anzitutto il colpevole è un profugo tedesco che ha ucciso per caso, senza volerlo, e stava rubando solo perché aveva bisogno di denaro per inseguire il suo piccolo sogno americano; la vittima, viceversa, era un viscido ricattatore; infine, e soprattutto, il sacerdote viene sospettato dell’omicidio e potrebbe scagionarsi solo tradendo la sua missione. Ma la sua effettiva innocenza non basta a nascondere la verità: come il Farley Granger del precedente L’altro uomo, dentro di sé egli desiderava liberarsi dal ricattatore e perciò vede nel vero colpevole il riflesso della propria cattiva coscienza. Il film diventa così la raffigurazione di un groviglio di forze contrastanti, ben servito dall’interpretazione sofferta di Clift e da quella angosciata della Baxter (che, per inciso, in quel periodo si stava separando) e complicato da una serie di paradossi: la deposizione dell’ex fidanzata del sacerdote dovrebbe salvarlo e invece fornisce agli investigatori il movente che mancava; la giustizia umana assolve un innocente nonostante le prove schiaccianti contro di lui; l’assassino è costretto a usare di nuovo la pistola per uccidere l’unica persona che amava, quella per la quale aveva commesso il primo delitto. E va considerato anche un merito indiretto: quello di aver partorito a distanza di anni un altro bel film, Il confessionale (1995) di Robert Lepage.
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