Regia di Hugo Fregonese vedi scheda film
Film ormai dimenticato ma meritevole di attenzione, sia per l'ispirazione a un celebre racconto naturalistico del primo Novecento, Cardello di Luigi Capuana, sia per un cast ragguardevole con, fra gli altri, Peter Ustinov e Carla Del Poggio, qui purtroppo al suo ultimo film
Film pressoché dimenticato e difficile da reperire (io stesso sono riuscito a visionarlo solo tramite una specifica richiesta al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma), "I girovaghi", girato nel 1956 dal regista argentino Hugo Fregonese ha molteplici punti di interesse: a) l'ispirazione a un racconto di Luigi Capuana, "Cardello" (1907); b) la particolare équipe che scrisse la sceneggiatura; c) i suoi protagonisti (Peter Ustinov, Carla Del Poggio, Abbe Lane, Gaetano Autiero) e l'intrecciarsi delle loro interpretazioni e delle loro carriere; d) il fatto particolare che per una di questi protagonisti, Carla Del Poggio, si trattò dell'ultima presenza in un film, con un percorso da attrice che, iniziato precocemente a 14 anni con "Maddalena... zero in condotta" di Vittorio De Sica di cui fu protagonista, si concluse altrettanto precocemente a 31 anni non ancora compiuti; e) le vicissitudini che portarono a un certo punto la troupe a dover lasciare l'originaria localizzazione siciliana (Taormina e l'Etna) per la zona di Cerveteri e di Santa Marinella; f) fotografia e colore.
Proverò a procedere con ordine:
a) l'ispirazione allo splendido racconto di Capuana è poco più di un pretesto (del resto, nei titoli di testa, si parla esplicitamente di una riduzione, scrivendo anche "da un racconto..."): si è infatti preferito prendere una sola minima parte della complessa vicenda del ragazzino figlio di nessuno (Autiero), detto "Cardello" per la sua vivacità, quella in cui lui è al servizio di un puparo (Ustinov) e di sua moglie (Del Poggio), oltretutto modificandone alcuni elementi di primaria importanza (nel racconto di Capuana la coppia ha una bambinetta che muore di stenti, nel film non ce n'è traccia); se è vero che in entrambi - film e racconto - il puparo tratta malissimo la sua donna, nel racconto egli arriva addirittura a ucciderla, episodio non presente nella pellicola. Tutto questo non deve naturalmente stupire perché, come è a tutti noto, sussiste assai spesso una sostanziale indipendenza tra letteratura e cinema: inoltre è facile intuire che questi ampi mutamenti rispetto a Capuana sono del tutto funzionali soprattutto al personaggio cucito addosso a Carla Del Poggio (vedi oltre).
b) gli sceneggiatori furono ben cinque, con nomi di assoluto rilevo (forse tranne Salvatore Danò: inopinatamente trascritto 'Dano' nei titoli di testa del film): Giuseppe Berto, che sarebbe poi divenuto uno dei migliori autori italiani capaci di scrivere nella modalità del monologo interiore, Daniele D'Anza, poliedrica figura di regista e sceneggiatore che avrebbe peraltro conosciuto maggiore fortuna nella televisione, Luciano Vincenzoni, sceneggiatore molto prolifico e di qualità che lavorò, fra gli altri con registi del calibro di Monicelli, Risi, Lizzani e Bolognini, mentre il quinto fu Piero Vivarelli, uomo di spiccata creatività non solo nel cinema (nei vari ruoli di regista, attore e sceneggiatore), ma anche nella musica leggera (il testo di "24.000 baci" di Celentano, ad esempio, è suo).
c) Il cast assemblato da Hugo Fregonese era composito ma sufficientemente centrato: una star internazionale come Peter Ustinov (reduce dai successi di "Quo vadis" e di "Sinuhe l'egiziano" e destinato ad una carriera che gli avrebbe garantito ancora molti anni di vertice - ma alla quale poco dovette aggiungere la sua partecipazione a "I girovaghi" nonostante fosse perfetto per la parte, interpretata con attenzione e partecipazione); una diva ancora amata in Italia, Carla Del Poggio, ma in una fase di personale ripiegamento che dovette contribuire al suo lasciare di lì a breve il mondo del cinema, nonostante avesse dato ottime prove di sé almeno fino allo splendido "Luci del varietà" di suo marito Alberto Lattuada con la co-regia di Federico Fellini al suo esordio; una bellezza statunitense, Abbe Lane, nei panni della donna fatale (ma in un contesto di piccola e povera provincia), rivale implicita ed esplicita della moglie del puparo; il quindicenne Gaetano Autiero, protagonista del racconto, specializzato in quegli anni in ruoli da adolescente (ad esempio anche in "Pane, amore e..." di Dino Risi). Di valore anche i comprimari soprattutto Giuseppe Porelli nelle vesti del professor Kroll, rivale "pseudo-germanico" ma napoletanissimo del puparo Ustinov.
d) Carla Del Poggio (donna Lia) è forse, insieme al sanguigno Ustinov, il più autentico motivo di interesse del film: volutamente dimessa, ma ancora di delicata bellezza - come richiedeva la parte, naturalmente - si trova sottomessa al marito che proprio non la rispetta e nemmeno la considera come donna, si trova a lavorare per lui, cucendo gli abiti dei pupi, provvedendo allo scarso mangiare, prendendosi cura per quanto possibile anche del ragazzo Cardello al quale si affeziona perché - così nel film a differenza del romanzo - non ha avuto figli: solo in un episodio il suo personaggio tiene testa al puparo chiedendo con grande e dignitosa energia di non essere presa in giro da suo marito che si era messo a fare regalini a Abbe Lane e - dopo averne ricevuto un rifiuto - ha la pensata di regalarli a sua moglie suscitando le sue giuste ire. Ma il film, diremmo noi, ha una conclusione "buonista": il puparo viene messo in carcere e sia Cardello sia donna Lia lo vanno a trovare in cella con entrambi che gli dicono che gli sarebbero stati sempre vicino e con il ragazzo che aggiunge di voler imparare a fare sempre meglio il puparo (Capuana si sarebbe davvero stupito di come il suo racconto era stato così tanto trasformato!). Si diceva di Carla Del Poggio: il contrasto, messo in atto dagli sceneggiatori e dal regista è con tutta evidenza tra lei e Abbe Lane (parallelo a quello, anche se meno accentuato nella narrazione filmica, tra Ustinov e Porelli): impossibile, naturalmente, entrare nella psicologia di un'attrice su un tema come questo, ma io non credo assurdo pensare (anche se la cosa va approfondita come sto cercando di fare in un saggio che sto scrivendo su di lei) che - benché non ci fosse nessun motivo per pensarlo - lei dovesse ritenere che il suo fascino non fosse più quello della giovane ragazza che solo sei anni prima aveva ballato e cantato con grande sensualità "Oh mama, mama (el muchacho)" in "Luci del varietà". Ne "I girovaghi" Abbe Lane fa in qualche modo la sua stessa parte di allora e Carla potrebbe aver valutato - ripeto, sbagliando - che il suo tempo fosse passato e che fosse giunta l'epoca di altre giovani attrici, come la stessa Gina Lollobrigida o la giovanissima Marisa Allasio. Anche se naturalmente, come Carla affermò allora, quella scelta fu determinata anche da ragioni famigliari. Ma è comunque un tema che mi riprometto di approfondire.
e) in un articolo di quel tempo (Arturo Lusini, "Liberati i girovaghi dal blocco di Taormina", in "Oggi", anno XII, 10, 8 marzo 1956, p. 23), si parla, diffondendosi nei particolari delle difficoltà economiche che dovette affrontare la troupe e dei debiti che misero in dubbio la stessa realizzazione del film. Tutto poi si aggiustò, con uno spostamento delle maestranze, ovviamente regista e attori compresi, nella zona nord di Roma compresa tra Cerveteri e Santa Marinella: ed è proprio per questo che al paesaggio etneo, perfetto per l'ambientazione, si sostituì inopinatamente, specie nelle scene finali, un paesaggio dominato dal castello di Santa Severa nel comune di Santa Marinella.
f) fotografia e colore sono un po' la croce e la delizia del film, un po' come la direzione degli attori, talvolta molto efficace (specie con i più esperti), talaltra un po' troppo blanda. A certe inquadrature di grande efficacia, fa riscontro, anche per motivi legati alla tecnica allora in uso, lontanissima ovviamente dai nostri standard, una cromia che sa un po' troppo di "cartolina ritoccata".
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