Regia di Robert Moore vedi scheda film
“Siete stati così furbi per così tanto tempo che avete dimenticato l’umiltà. Avete ingannato e raggirato i vostri lettori per anni. Ci avete torturato con finali a sorpresa che non avevano senso. Avete introdotto personaggi alla fine che non erano nel libro prima. Avete celato indizi e informazioni rendendo impossibile per noi scoprire l’assassino. Ma ora la situazione è rovesciata. Milioni di lettori di gialli, arrabbiati, si prendono la rivincita. Quando il mondo scoprirà che vi ho superato in astuzia venderanno i vostri libri da 1,95 $ per 12 centesimi. E’ l’ora della partenza, signore e signori. Ho qui i vostri conti. Accetto carte di credito.”
Che Neil Simon sia uno sceneggiatore di caratura superiore è indiscutibile. Che Robert Moore (qui al suo debutto cinematografico e uomo di fiducia di Neil Simon, avendo poi diretto altri due film tratti da opere del commediografo) non sia un regista dall’altrettanta levatura, credo sia ugualmente indubbio. Forse è per questo che il pur divertente, frizzante e comunque riuscito “Invito a cena con delitto” è meno irresistibile di quanto ci si possa immaginare, meno accattivante e sorprendente di altre commedie di Simon (e sensazione analoga si ha anche di fronte al successivo e gemellare “… A proposito di omicidi” diretto sempre da Moore). Certo, l’idea di fondo è sfiziosa e brillante e nasce dalla passione di Neil Simon per i romanzi gialli: l’eccentrico milionario Lionel Twain invita nella sua dimora, avvolta in un’atmosfera minacciosa e oscura (tanto che uno degli ospiti commenta all’arrivo che “Non ha un aspetto da Costa Azzurra questo posto!”, e lo stesso maggiordomo chiarisce che “Mr Twain preferisce avere atmosfera tetra.”) i cinque più grandi detective del mondo. Dovranno scoprire il responsabile di un delitto che accadrà a mezzanotte. Premio: un milione di dollari. La sceneggiatura di Simon è un fuoco di fila ininterrotto di invenzioni (il campanello della casa costituito dall’urlo di una donna terrorizzata che altri non è che Fay Wray in “King Kong”), battute (affidate soprattutto a un formidabile Peter Sellers, ogni sua massima è da appuntarsi, ma fenomenale anche la gag di Jamesignora Bensignore Oh Signore, tutta merito dei dialoghisti italiani, sulla falsariga di quelle ancor più celebri di “Frankenstein jr.”) e situazioni esilaranti (su tutte i problemi di comunicazione tra il maggiordomo cieco e la cuoca sordo muta, i cui duetti sono fantastici). La prima parte con la presentazione dei diversi personaggi, ispirati ognuno ad un celebre detective della narrativa, è la più convincente e vivace, ma anche il sovraccarico finale con i cinque investigatori prima costretti a sopravvivere ad incredibili ed assurdi tentativi di omicidio (un serpente a sonagli, uno scorpione velenosissimo, una bomba, del gas mortale, un tetto che improvvisamente si abbassa) poi pronti a proporre diverse e sempre più creative ed assurde soluzioni a sorpresa che si susseguono incalzanti e senza sosta è molto simpatico e piacevole. La parte centrale denota invece un po’ di stanchezza con qualche passaggio a vuoto. La parodia dei romanzi gialli volti a spiazzare ripetutamente il lettore, spesso rinunciando alla logica e alla coerenza, funziona a meraviglia in una intelligente, sbarazzina e gustosa presa in giro, volutamente grottesca, esagerata e su di giri, più demenziale che slapstick a ridicolizzare e scompaginare gli elementi cardine e i personaggi classici del genere, il cast di magnifici attori tiene altissimo il livello, in un gioco di squadra esemplare e a ritmo sostenuto in cui ognuno riesce a lasciare il segno, persino un inedito e rozzo Peter Falk, l’umorismo è spesso geniale, raffinato e di classe (ma non manca anche una comicità più terra terra in un curioso mix di alto e basso). La presenza di un incisivo e istrionico Truman Capote (per nulla a disagio di fronte a cotanti attori) è la ciliegina sulla torta (lo scrittore tra l’altro è stato candidato ai Golden Globes come miglior attore debuttante ma è stato battuto dall’Arnold Schwarzenegger di “Un autentico campione”). Il problema è che la regia è piuttosto meccanica ed anonima, incapace di spazzare via la strana sensazione che, a conti fatti, si tratti di un giochetto senza alcun dubbio arguto, intrigante e spassoso, ma anche un tantino sterile, forzato e compiaciuto in cui sembra che autori e attori si siano divertiti molto di più degli spettatori. Notevoli i titoli di testa con le sagome cartonate dei personaggi estratte da un baule che poi alla fine viene richiuso e, va riconosciuto, estremamente efficace anche il doppiaggio. Magistrale, tra gli altri, l’ultimo dialogo tra Wang e il figlio adottivo che in tutta la confusione finale ha perso il filo: “Non capisco. C’è stato un delitto o no?” “Sì, ucciso buon week end!”. In ogni caso non c’è paragone con il successivo e modesto “Signori, il delitto è servito” che da qui ha copiato tutto, smarrendo anche l’effetto novità.
Voto: 6/7
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