Regia di Lisandro Alonso vedi scheda film
Vargas (Argentino Vargas) sta scontanto un lungo periodo di detenzione. Uscito dal carcere, è deciso a ritrovare la figlia che non vede da anni. Questa vive lungo il fiume e per ritrovarla deve attraversarlo per intero. Si mette dunque in viaggio, a contatto con la natura vergine e misteriosa e con l’animo predisposto a mettersi in pace innanzitutto con se stesso.
Il cinema di Lisandro Alonso ti porta veramente in un mondo a parte, e non perché fa un uso abbondante degli artifici cinematografici per mutare le forme nel modo che più si allienerebbe alla sua immaginifica creatività, ma per il modo secco e rigoroso con cui fa aderire la macchina da presa ai palcoscenici del reale, che finisce per produrre un metalinguaggio di tipo naturalistico tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Pe un rapporto molto esclusivo e carnale, che mette in connessione la nudità della terra e dei corpi, la sacralità della vita e della morte. Un rapporto vivifico per l’uomo, che si rende istintivamente partecipe di un senso della libertà che rasenta l’assoluto, ma anche per la stessa natura, che conserva intatta la sua innata prerogativa di fare da palcoscenico elegiaco alle vicende minute del mondo. Nel suo film d’esordio, “La libertad”, sulla storia di un boscaiolo, Lisandro Alonso non si scosta dal lavoro di un ragazzo che taglia alberi per portarli ai produttori di legname, mettendo discretamente in relazione la vita del suo protagonista con le leggi economiche che regolano il mondo di fuori. Così è anche in “Los muertos”, ancora attardandosi intorno a storie di retrovia, sempre concentrandosi su delle vicende umane rimaste ancorate al primo stadio rispetto all’incipiente globalizzazione del mondo contemporaneo. “Los muertos” è una sorta di viaggio a ritroso verso la ricerca di una redenzione definitiva. Non ci è dato sapere il perché di questa scelta e neanche ci vengono forniti indizi per avere un quadro più chiaro sull’esistenza di Vargas. Lisandro Alonso ci invita ad essere esclusivamente complici del durante, di sfoltire la nostra mente dalle sovrastrutture sociali che la popolano per goderci appieno la messinscena cinematografica. Che investe tutto sul lento fluire delle cose, sui tempi dilatati, sulla valenza simbolica delle immagini, sulla dialettica sottintesa tra campo e fuori campo : tra il racconto di un’esistenza quasi ricondotta alla sua essenza primordiale e gli echi multiformi del mondo di fuori. Ingredienti sufficienti per allineare il film alla poetica di quel realismo magico che tanta cultura sudamericana ha permeato. I morti a cui fa riferimento il titolo sono (evidentemente) quelli che popolano le sponde del fiume, le anime solinghe marginalizzate da un mondo che va di fretta e che non ha tempo per ascoltare le voci di dentro scaturite da questo polmone vergine del pianeta. Lasciate perire perché dimenticate da tutti. Vargas ha forse avuto il tempo di riflettere durante il periodo di detenzione, e adesso sembra un novello Caronte che segue la scia del fiume come a voler penetrare il cuore pulsante dell’Argentina e arrivare fino all’inizio della sua storia travagliata. L’uomo lo attraversa per intero, alla ricerca di una figlia che è simbolo di rinascita e liberazione insieme. Volontà di non lasciarsi sovraccaricare dai cattivi pensieri e desiderio di voler riannusare il senso delle sensazioni più pulite. Il film si apre con un lungo piano sequenza, la macchina da presa lotta con il fogliame degli alberi per appuntare la sua attenzione su tre cadaveri immersi nella foresta verdeggiante. Si chiude su un giocattolo lasciato cadere da un bambino che vive in una baracca immersa nella stessa foresta. Vargas ancora deve concludere la sua ricerca e il senso più pieno di quello che vediamo è la constatazione che il cinema non deve mai costringersi a dare un senso unitario agli spaccati di vita che ritrae.
Questo di Lisandro Alonso è un cinema che offre altre prospettive, altri sguardi sul e dal mondo. Altri modi di intendere il fare arte cinematografica oggi. Tendente a desacralizzare i canoni consueti ma anche suscettibile di crearne altri. Un cinema ostico quanto si vuole, ma necessario se si pensa al Cinema come ad una materia viva che deve saper andare in mare aperto se vuole ringiovanire sempre.
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