Regia di Lisandro Alonso vedi scheda film
La chiave di lettura di questo particolarissimo film è tutta contenuta nella sequenza finale, in cui il taglialegna, al tramonto, fuori dalla sua baracca, cucina un armadillo che ha catturato con le proprie mani, mentre la radio, in sottofondo, discute il caso di un galeotto e altri problemi della vita di città. Il contrasto tra questa scena di primitiva vita agreste e la lontana eco della civilizzazione innesca una riflessione sull'intero significato della storia, su quanto ci sia, effettivamente, di invidiabile e quanto di deprecabile nella singolare condizione di quest'uomo. Il film si sviluppa con estrema lentezza, seguendo il protagonista in ogni momento del suo lavoro, di albero in albero, ed è in gran parte occupato dai lunghi spostamenti in auto o a piedi. Questo realismo temporale accentua, da un lato, il senso della tranquillità (alias ripetitività) della vita del boscaiolo, dall'altro il senso della vastità degli spazi, che si può leggere anche come desolazione e lontananza dal mondo. Un quadro che si contrappone in maniera ambigua a quello dell'uomo contemporaneo, lasciandoci con un interrogativo aperto. Lo sguardo del taglialegna che, alla luce di un fuoco da campo, consuma la sua rozza cena, sembra prometterci a più riprese una risposta, che, però, non arriva mai: è questo l'ideale suggello di una pellicola prevalentemente muta, ma, a suo modo, penetrante.
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