Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
A New York Roger Thornhill (Cary Grant), un pubblicitario dedito alla bella vita, viene per un equivoco scambiato per il sedicente George Kaplan e da questo momento è l'inizio di una sarabanda di eventi che lo porteranno dai posti più disparati, partendo da una villa dove verrà messo sotto torchio da un misterioso gruppo di cospiratori al soldo di un certo Lester Townsend (James Mason), da dove riuscirà a fuggire in maniera rocambolesca, per poi spostarsi al palazzo dell'ONU, in cui avverrà un omicidio del quale sarà incolpato (ingiustamente) e poi scapperà via treno, farà incontri galanti, si ritroverà in aperta campagna alle prese con un nemico impensabile, fino ad attraversare il paese in direzione Nord-Ovest, come indicato dal titolo originale - 'North by NorthWest' - giungendo infine sulle pendici del Monte Rushmore, che farà da sfondo al redde rationem.
'Intrigo internazionale' costituisce al contempo la summa e il vertice dei film hitchcockiani improntati sul tema dell'uomo comune che si ritrova, per circostanze a dir poco casuali, impelagato in una cospirazione ad ampio raggio dove la posta in gioco è sempre molto alta e l'individuo finisce per essere risucchiato dalla concitazione degli eventi, il cui corso fatica in un primo momento a decifrare, e sbattuto da una parte all'altra dei due schieramenti opposti, dove anche la parte che rappresenta 'il bene' non esita a mettere in gioco la sua pelle per raggiungere i propri scopi.
'Intrigo internazionale' si avvale innanzitutto di una sceneggiatura di ferro, scritta da Ernest Lehman, che forse ad una prima visione della pellicola appare oscura in vari passaggi e non ben collegata tra i vari snodi narrativi ma che, dopo molteplici visioni, appare quanto di più compatto e preciso si possa assistere, tradotta in immagini da un Hitchcock in stato di grazia, il quale, tramite il plot, sciorina una sequela interminabile di sequenze straordinarie ad un ritmo vertig(inos)o, dove lo spettatore non fa in tempo ad emozionarsi per una di esse che viene gettato, come d'altra parte l'eroe del film, in una nuova situazione ancor più complessa della precedente e quando la storia sembra andare in una direzione, si cambia di nuovo e si riparte: è un Hitchcock se così si può dire da un lato giocoso, poiché anche nei momenti di maggior tensione non viene mai meno il suo inconfondibile tocco ironico ma dall'altro anche, come in tutti i suoi lavori più belli, sperimentale, con soluzioni ardite per la costruzione del suspense e l'utilizzo degli spazi esterni, che combinate tra loro danno vita a scene immortali, come quella dell'attacco a Thornhill da parte del biplano in aperta campagna di giorno, dove il climax assume i contorni del grottesco.
Oltre al tema di base del film, sono presenti sottotematiche tipiche del suo cinema, come il villain dai modi gentili, che qui assume i connotati dall'elegante e autoironico James Mason, la bionda (Eva Marie Saint, che non sfigura affatto nella galleria delle eroine hitchcockiane) dal comportamento ambiguo, della quale però il protagonista si innamora da subito ed il cementarsi della coppia per far fronte alle minacce che incombono su di essa, il treno come crocevia dei destini dei personaggi e i luoghi famosi (l'Hotel Plaza e il Palazzo di Vetro a New York, il Monte Rushmore nel South Dakota) che fanno da sfondo all'azione.
Innumerevoli, oltre a quella citata poc'anzi, le scene da ricordare: si va dai titoli di testa di Saul Bass, composti da righe verticali ed orizzontali su cui compaiono i nomi di cast tecnico ed artistico, che sfumano nelle vetrate su cui si riflettono le macchine e le persone, all'omicidio del diplomatico tra le mura delle Nazioni Unite, che contraddice la regola del suspense, poiché, per una volta il regista usa il colpo di scena, al primo incontro sul treno tra Thorhill e l'affascinante Eva, tutto giocato su toni da commedia brillante, con dialoghi ricchi di allusioni sessuali, quella dell'asta, una parentesi comica, e la conclusione sulla montagna che vede scolpiti i volti di quattro presidenti, risolta con un'acrobatica ellissi e, a detta di Hitchcock: ''con il finale più impertinente che abbia mai girato''.
In aggiunta agli attori già citati, vale la pena ricordare Jessie Royce Landis nel ruolo, purtroppo ben presto sacrificato, della madre premurosa di Thornhill, Martin Landau nella parte del braccio destro del cattivo e Leo G. Carroll come capo con pochi scrupoli della CIA; discorso a parte merita Cary Grant: il suo Roger Thornhill si distacca un po' dai tre personaggi interpretati nei precedenti film con il regista londinese, poiché essi erano tutti caratterizzati da una certa ambiguità di fondo e solo alla fine si capiva la loro vera natura, mentre in questo film l'attore inglese recita un ruolo totalmente positivo, mantenendo comunque sempre un aplomb e un distacco tipicamente british anche nei momenti più critici, arrivando a livelli di recitazione eccellenti.
Smagliante la fotografia di Robert Burks, preciso il montaggio di George Tomasini e incalzante il commento musicale di Bernard Herrmann.
E' uno di quei film che non ci si stanca mai di (ri)vedere.
Capolavoro.
Voto: 10 (v.o.s.).
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