Regia di Robert Montgomery vedi scheda film
Fiesta e sangue è un film non molto noto in Italia, praticamente introvabile se non in qualche copia americana, ma anche uno di quei casi a sé nel panorama noir classico (qualcuno lo ascrive più nella lista delle “curiosità”, che in quella dei classici veri e propri), che si fanno ricordare non tanto per il contenuto, quanto per lo stile narrativo e il clima generale indefinito, direi quasi indecifrabile, bizzarro ma sempre contraddistinto da una certa raffinatezza. Troviamo Robert Mongomery nelle vesti di attore protagonista e di regista, dopo aver già diretto nello stesso anno Una donna nel lago, film altrettanto peculiare per essere stato girato tutto in soggettiva. E’ un reduce di guerra, Lucky Gagin, che giunge nella cittadina di San Pablo, New Mexico, deciso ad incontrare un gangster locale responsabile della morte di un suo compagno. Nel tentativo di ricattarlo, Lucky mette piede in una girandola di personaggi e situazioni strambe, incorniciate dai preparativi per l’imminente “fiesta”.
Siamo negli Stati Uniti, ma sembra di essere altrove, nell’atmosfera sospesa di una strana cittadina che ha i tratti del luogo dell’inconscio e dello straniamento da una realtà incomprensibile. La ricerca di vendetta – o di qualcosa che le assomiglia, perché in realtà le intenzioni di Lucky restano piuttosto vaghe – si dissolve pian piano in una fuga dal pericolo, il tutto calato nella tipica struttura poliziesca e hardboiled (il film è tratto dal romanzo criminale di Dorothy B. Hughes “La giostra della morte”). Manca però quella tipica immedesimazione nell’eroe noir disincantato e solitario, proprio per la natura sfuggente e scostante del protagonista su cui influisce la recitazione rude di Montgomery; e così anche nello spettatore si riflette quel senso di disagio e distacco che nel film si traduce in onirismo, vicino all’allucinazione.
Tutto l’esotismo messicano, i personaggi ambigui, la città straniera, contribuiscono a disegnare un mondo inospitale in cui il rischio è all’ordine del giorno. Lucky vede lamorte dinanzi a sé, dipinta nel presagio di una misteriosa ragazzina pellerossa, Pila, che per tutta la durata del film sarà il suo angelo custode. Un riferimento ironico al tema del Fato e della fortuna è del resto scritto già nel nome del personaggio di Montgomery, “Lucky” (fortunato), e soprattutto nello strano fantoccio bruciato durante la fiesta, “Zozobra”, descritto come dio della malasorte. “Peccato non l’abbiano bruciato un’ora fa”, dice a un certo punto il fido Pancho.
Il tema del reduce di guerra, che di ritorno in Patria sembra aver perso le coordinate della propria vita, comune a diversi film del decennio, amplifica quella sensazione di amaro distacco dal mondo e disincanto, innescando anche una sorta di crisi dell’identità. Lucky Gagin è un personaggio enigmatico, al pari dei tanti che incontra sul suo cammino, e nel corso del film la struttura circolare del racconto lo riconduce sui suoi passi, dopo una fuga sofferente da chi lo vorrebbe assassinare che lo precipita in uno stato di semi-incoscienza e di amnesia.
Le dinamiche della vertigine e del “girare in tondo” sono un leitmotiv ricorrente nel film, simbolizzato da una giostra dai cavallini colorati, da cui poi deriva il titolo surreale Ride the pink horse. La giostra, con il suo movimento circolare e i riferimenti all’infanzia e al fiabesco, diventa il cardine metaforico dell’intera vicenda, luogo presso cui trovare sicuro riparo, ma anche setting di alcune belle sequenze come quella del pestaggio di Pancho, ripreso sullo sfondo dal punto di vista della giostra in movimento. Tra le sequenze da ricordare, anche il lungo piano sequenza che apre il film e introduce il personaggio di Lucky, avvolgendolo subito di un alone misterioso: in tre minuti la macchina da presa lo segue mentre, dopo essere sceso dall’autobus, entra in stazione, sistema la sua pistola, e chiude un foglietto in una cassetta, per poi nasconderne la chiave usando un chewing gum.
La fotografia di Russell Metty, già collaboratore di Orson Welles in “Lo straniero” e “L’orgoglio degli Amberson”, è particolarissima e alterna gli scenari molto illuminati del giorno a quelli di una notte in cui ombre e oscurità gettano un velo di sogno e mistero su ogni luogo. Colpisce ancora di più, però, lo sguardo spietato del protagonista sull’universo femminile, e non tanto per la presenza di una poco memorabile femme fatale, strumento d’inganno del gangster Frank Hugo, ma soprattutto per le parole colme di disprezzo pronunciate da Montgomery, che indubbiamente lasciano il segno: “Le donne non sono esseri umani, sono pesce marcio con molto profumo, le tocchi e vieni sempre punto”.
(M.M.)
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