Regia di Gianfranco Parolini vedi scheda film
King Kong de noi altri che, guarda caso, esce un anno dopo dal remake diretto da John Guillermin. Gianfranco Parolini, alias Frank Kramer, finanzia in prima persona il progetto e si pone alla regia con una messa in scena sufficiente (il problema è tutto il resto). Regista celebre soprattutto nel genere spionistico, oltre che western e war movie, Parolini porta in scena il suo bestione giocando soprattutto con modellini e sovrapposizioni di immagini, ma anche con un pupazzone preparato dai realizzatori dei carri del carnevale di Viareggio (!?). I trucchi, considerato il modesto budget, riescono anche, pur se, talvolta, con evidenti difformità di proporizione tra una scena e l'altra; la prima cosa a non convincere, fin da subito, è la sceneggiatura (scarna e tirata via, senza tanto pensare alle soluzioni da adottare). Basato su presupposti a dir poco puerili e degni di un film comico, si pensi al successivo Mia Moglie è una Bestia (lo Yeti, conservato per millenni dai ghiacci, torna in vita semplicemente riportandolo a 9.000 metri di altezza con un elicottero da cui viene fatta colare acqua calda che, misteriosamente, non ghiaccia sul corpo del gigante sebbene questo penzoli all'aria aperta a 9.000 metri di altezza dal suolo!?), il copione porta avanti in modo stanco e ripetitivo un soggetto privo di snodi e strutturato su una lunga serie di ingenuità. Tutto è funzionale a strizzare l'occhiolino a King Kong. Ritroviamo infatti la tematica ricollegata a la bella e la bestia, con la modifica del finale in cui la bella salva la bestia (che ovviamente capisce il messaggio che lei gli manda), o l'atteggiamento dei giornalisti che, con i flash, inducono il gigante alla ribellione. Epilogo all'insegna della retorica più sfrenata. Si cerca in tutti i modi l'happy end e, non contenti, se ne piazza ben due. Dopo aver assistito alla mancata esecuzione dello yeti si assiste anche al resuscitare di un cane, precedentemente trafitto da una coltellata, che, improvvisamente, si riprende e compie chilometri a corsa fino a ritrovare il suo piccolo proprietario (!?). Tremendi gli effetti sonori (lo yeti barrisce e regala risate involontarie a non finire) e soprattutto le espressioni dello scimmione (un uomo ricoperto di peli e da una chioma leolina che genera ilarità).
Antonella Interlenghi (sedici anni) esordisce qua nel cinema e lo fa da protagonista in un cast artistico assai povero. Luciano Stella è il cattivo di turno doppiogiochista. Ci sono anche Donald O'Brien e lo stunt Aldo Canti.
Brutta la fotografia di Sandro Mancori, altrove valido collaboratore. Non sono degne di nota le musiche di Sante Maria Romitelli.
Pur se lanciato all'epoca da importante battage pubblicitario, Yeti - Il Gigante del XX Secolo è un trash movie che è presto finito nel dimenticatoio e da lì non più rivalutato. Difficile credere che possa trasformarsi in culto. Lodevole comunque il tentativo di rispondere ai successi commerciali, sempre più lontani dalle "nostre" potenzialità, di Hollywood. Occasione fallita.
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