Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Fellini al penultimo film decide di aggirarsi dalle parti del metacinema, che aveva già sperimentato in precedenza ad esempio con "Roma" nel 1972, e ci offre questo "Intervista" che risulta un'operina dall'ispirazione un po' altalenante, sicuramente uno dei suoi film minori, ma non privo di alcune belle pagine e di riflessioni abbastanza stimolanti sul mestiere del regista. Il titolo fa riferimento all'intervista di un giornalista in cui è adombrato lo stesso Fellini ad una diva degli anni del fascismo: la rievocazione del viaggio a Cinecittà e della scoperta degli studios da parte del giornalista interpretato da un giovane Sergio Rubini è una delle parti più affascinanti dell'operina, può contare su un'atmosfera raffinata, buone invenzioni visive e un trasporto evidente da parte del regista per gli anni della sua gioventù in cui la scoperta del cinema risultava una magica evasione da una realtà per molti versi opprimente. Il resto del film ci espone il tentativo da parte di Fellini di girare una versione del romanzo di Kafka "America", con l'idea di un reportage da parte dei giapponesi sul set che fa da filo conduttore, ma ad onore del vero è trascinata un po' per le lunghe e si perde in alcune trovate superflue come quelle della telefonata con la minaccia di una bomba sul set, oppure i provini a tutta una serie di figuranti che aggiungono un po' di colore felliniano, ma al tempo stesso sanno di maniera. Rispetto ad "Effetto notte" di Truffaut è un film più fragile, forse più narcisista, girato da un Fellini che negli anni 80 non aveva più l'urgenza espressiva dell'epoca dei grandi capolavori, anche se tecnicamente se la cava ancora bene e in certi momenti riesce a stupire lo spettatore (il viaggio in compagnia di Marcello Mastroianni a trovare Anita Ekberg e la rievocazione nostalgica de "La dolce vita"). Mi sembra che Fellini abbia voluto fare un omaggio sincero, non gratuito all'attrice svedese, che però lo ha ripagato molti anni dopo in pessimo modo con un'intervista pubblicata postuma in cui descriveva Fellini in maniera imbarazzante con un astio e un livore francamente incomprensibili (forse rendendosi conto della assoluta mediocrità della sua carriera di attrice, la Ekberg si scagliava contro l'unico regista che le aveva regalato la fama e l'immortalità cinematografica, incolpandolo indirettamente per averla ingabbiata in un certo ruolo, quando la realtà è che fu lei stessa a non riuscire a staccarsene e a trovare qualcosa di alternativo). Marcello si prende amabilmente in giro, Rubini alla fine ha poco spazio anche se dimostra comunque una buona tempra di attore, gli altri sono poco più che comparse anche se dirette con la proverbiale maestria dal regista romagnolo. Da vedere senza aspettarsi un capolavoro, ma come compendio di un modo di fare cinema che ha fatto leggenda, esposto con uno stile che a tratti non manca dello smalto del tempo che fu.
voto 7/10
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