Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Un miracolo tecnico. Un meccanismo stratificato dove ognuno è libero di <<recitare>> se stesso. Un film dove i confini tra soggetto, oggetto, finzione e documentario non possono esistere. Un opera che illuminando il proprio lavoro non può che esaltarne la propria arte restando un episodio unico e inimitabile del nostro cinema. L’architettura dell’opera è su tre piani, il piano del film, il piano dei provini per il film su Kafka e il piano del documentario giapponese sul regista. Fellini mette continuamente in comunicazione i tre piani con quella leggerezza e tocco magico di cui solo il regista riminese era capace. La narrazione procede tra i ricordi del primo contatto con quello che diventerà il suo regno e il lavoro quotidiano dei suoi collaboratori. La differenza tra i sogni esotici di cartapesta e la volgarità pubblicitaria è resa in maniera plastica da una Cinecittà sempre più stretta e assediata. Il nostro decide allora di rifugiarsi dove molto era cominciato celebrando la sua dolce vita insieme al suo alter-ego cinematografico, facendo luce per l'ultima volta sulla sua diva. Gli anni ottanta sono per Fellini un decennio di nostalgia, contro la televisione e il suo mondo di mostri che si porta dietro e che viene portato nelle nostre case ogni giorno. L’assedio finale dei teledipendenti vale più di molti trattati sociologici sulla deriva della nostra cultura, sull’impatto della volgarità televisiva, soprattutto privata e commerciale, sulla vita pubblica. Quello che ci resta da fare è ammirare la bellezza assoluta di un capolavoro complesso, costruito per essere spiegato e capito con la semplicità delle cose che salveranno il mondo.
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