Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Una cosa va detta: se vi piace Fellini (come piace a quasi tutti) da strapparvi i capelli e piangere come disperati quando vedete uno dei suoi film, se avete amato (come il novanta per cento della popolazione mondiale) La dolce vita, e la celeberrima scena della fontana di Trevi, se voi (come, mi ripeto, gran parte degli spettatori) avete avuto “turbamenti” di qualche genere (per utilizzare un eufemismo felliniano) al ricordo della Anita Ekberg, diva straniera giunta in Italia per girare un film, se pure voi vi siete immedesimati in Mastroianni versione Don Giovanni depresso, se dunque ritenete che 8 ½ sia il film della vostra vita, che “Marcellino” sia la vostra versione filmica, che le donne felliniane siano le più belle sulla faccia della Terra e che FeFe (come lo chiamava qualcuno) sia stato uno degli uomini più intelligenti del pianeta, allora questo film fa per voi. Per tutti gli altri... vade retro Satana! Dato che non voglio entrare nel merito di aver in qualche modo “insultato” la memoria del santo defunto (non lo farei neanche al mio peggior nemico), voglio chiarire immediatamente che, il giudizio umano che sono costretto a dare, è legato solo ed esclusivamente a quanto traspare da questo film. Già il preambolo faceva vergognare: Fellini, gira un film su una troupe di giornalisti giapponesi che fanno un servizio su... Fellini! Questo dovrebbe bastare per spegnere tutto ed andare via, ma dato che non è giusto, siamo sottoposti anche a cose peggiori, perché una volta partiti, Fellini non si risparmia nemmeno una, ma aiutatemi a dire nemmeno una, delle scemenze che aveva inserito nei suoi film peggiori, e non ci sono santi, non la scampa nessuno: come per Amarcord, c'è una specie di scandalosa banalizzazione del ventennio fascista, una rappresentazione storico-sociale kitsch, orrenderrima, pomposa ed anche, volendo, propagandistica, dei culti folli ed esaltanti, nonché disumani ed anti-etici del regime Mussoliniano, ed oltre tutto, una sorta di enigmatica, distaccata partecipazione del regista come componente passiva in tutto questo, ridotto, tra l'altro, ad una macchietta disgustosamente riduttiva (come a dire “in guerra eravamo solo dei bamboccioni”...), “musicata” da affermazioni altrettanto riduttive e disgustose, neanche smentite (“L'Italia non ha niente da invidiare a nessun paese al mondo”,”C'è mai stato in Abissinia? Dovrebbe andarci”); poi c'è Sergio Rubini, che fa la parte del regista dentro al “film nel film”, in fase post adolescenziale con la faccia da rimbambito, la voce nasale da rospo raffreddato, e gli occhi spipati, Anita Ekberg in versione bidone, con la pelle grinzosa, gli occhi ricoperti di trucco, la villa da miliardaria, tre danesi a farle da cani da guardia, e qualche piccolo residuo di quella pseudo bellezza stereotipata che i più atrofici videro all'epoca, il povero Mastroianni tirato in mezzo al disastro, col vestito da Mandrake, la buzza in fuori, la gobba ed una sorta di ripugnanti massime su cosa significa essere uomini (“Ti piace bere?”, “Ti piace fumare?”, “Ma almeno le donne ti piacciono?”, “Le pippe stimolano la vena romanzesca.”), ed ultimo, ma non ultimo, un Fellini iracondo, donnaiolo, ed insopportabilmente... berlusconiano, con le classiche donne tutte poppe, culo grosso, vizi a destra e a sinistra e poco cervello, ma a lui piace così, il bellissimo quadro femminile de La città delle donne viene demolito in due minuti, e ridotto a semplice bisogno corporeo di consumare i propri bisogni animaleschi; l'unico momento che poteva darmi qualcosa (quello con Mastroianni che rievoca La dolce vita), viene bruciato e ridotto anch'esso a subdola e probabilmente non voluta, propaganda narcisista ed auto celebrativa, che mostra, guarda caso, la scena più cartolinesca e commercializzabile di tutto il film. Ci sono poi battutine razziste insopportabile e vergognose, macchiette culturali dei giapponesi da querela, messaggi subliminali poco chiari e a dir poco fascisti ad ogni angolo (che culminano con la finale guerra tra la troupe di Fellini e gli indiani cattivi), ed oltre tutto la solita, prolissa, noiosa, falsa, disgustosa, finale celebrazione della propria scontentezza nei confronti del mondo, da parte di un tizio che ha sempre avuto tutto ciò che ha voluto, e che non ha nessun diritto di fare l'egoista e di dirsi scontento, in nessun modo; in effetti, il Fellini che traspare da alcuni suoi film, non si distanzia molto dai borghesucci annoiati disprezzati da Antonioni, Bunuel e Pasolini, nelle loro (oneste, è il caso di dire) opere. L'unica cosa che salvo è la scenetta dei due che colorano il muro col cielo dipinto sopra: “Oh, a Ce!”, “Che voi!”, “Vattela a piglià ner culo!”, esilarante. Il resto è più che brutto: è squallido.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta