Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Un cineasta di successo parla di cinema come se non fosse il suo mestiere, bensì un mostro a cento teste che un giorno l’ha catturato, giovane e sprovveduto, quando ancora credeva che di cinema si potesse scrivere senza con questo caderci nel mezzo. La settima arte è un marchingegno poderoso e mal funzionante, che, però, continua impercettibilmente dentro la realtà: i confini sono sfumati, ed è difficile capire quando si è dentro e quando si è fuori. “Cinecittà” è il luogo simbolo di questa ambiguità, che Fellini ci fa rivivere con un infinito gioco di “film nel film nel film” in cui la prospettiva si sposta in continuazione avanti e indietro, facendoci perdere l’orientamento. Lavorare sul set dà il capogiro: bisogna usare copioni, macchine ed attrezzi con la massima attenzione, e fare, però, come se non ci fossero; vedere un teatro di posa, ed immaginare un paesaggio; inquadrare con la telecamera, e intanto posizionarsi, idealmente, dentro l’occhio dello spettatore. Solo il film proiettato, con la sua illusione compiuta, può liberare l’autore dall’infernale groviglio in cui si trova invischiato. Solo allora il prodotto dell’arte può spiccare il volo, ed acquisire la perfezione e la malleabilità del sogno: un sogno che, all’inizio, è di cartapesta, ed è saldamente ancorato alla terra.
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